Risale a qualche giorno fa la notizia che il Darpa, l’Agenzia per i progetti di ricerca avanzata della difesa Usa, ha avviato un progetto che dovrebbe portare alla realizzazione di una nave da guerra governata interamente dall’Intelligenza artificiale (Ia).

La Nomars (No Mamming Required Ship), sigla con cui si indica questo nuovo tipo di imbarcazione, non avrà bisogno di un equipaggio tradizionale e garantirebbe alla Marina militare Usa un vantaggio strategico considerevole, poiché  lo spazio che di solito viene impiegato per l’equipaggio verrebbe utilizzato per gli armamenti e la strumentazione, in modo da poter impegnare la Nomars in operazioni troppo rischiose per il personale militare umano, intervenendo a maggiore velocità e con un armamento più pesante.



I vantaggi economici che comporterebbe la realizzazione del programma Nomars riguarderebbero i costi dell’approvvigionamento, delle cure mediche, dell’addestramento e quindi libererebbe risorse per investimenti in altri settori e, ovviamente, eviterebbe perdite umane.

Breaking defence, uno dei siti più informati sulle vicende della difesa Usa, ha fatto trapelare la notizia che l’ufficio Gestione e bilancio della Casa Bianca aveva “incaricato la Marina militare di elaborare un piano” per raggiungere una flotta di 355 navi senza equipaggio entro il 2030 e che il budget per la difesa del 2020 prevede 407 miliardi di dollari. Dati che rendono palese la volontà degli Stati Uniti di collocarsi all’avanguardia nel settore della robotica e dell’Intelligenza artificiale.



Il fatto che sia il settore della difesa a fare da traino a questi settori fondamentali per la Quarta rivoluzione industriale palesa il ruolo geopolitico degli investimenti e lo strettissimo rapporto fra Stato e imprese strategiche. Milton Friedman sosteneva che soltanto nel settore della difesa era tollerato l’intervento dello Stato, ma se già nel 2016 il Pentagono investiva 72 miliardi di dollari all’anno in Ricerca e sviluppo, cioè più di quanto fanno Apple, Intel e Google assieme – e la cifra in un prossimo futuro arriverà a 100 miliardi –  ci rendiamo conto che la logica del libero mercato cederà il passo al ritorno della politica di potenza, in cui sarà sempre più difficile distinguere l’aspetto economico da quello strettamente militare.



L’Intelligenza artificiale è il campo più importante nella competizione per la superiorità tecnologica e la Cina ha imparato dal fallimento dell’Urss che un sistema senza innovazione è destinato a soccombere. Per questo motivo ha avviato il piano “Sviluppo di una generazione di industrie per l’intelligenza artificiale” che mira a fare della Cina il paese leader nel campo dell’Ia entro il 2030, sfidando apertamente gli Stati Uniti. Una competizione di cui sfugge la reale portata, perché facendo di fatto saltare la differenza fra sfera civile e militare, potrebbe essere funzionale a una società tecnologicamente disciplinata e perennemente sorvegliata, come lascia prefigurare il “Sistema di credito sociale” cinese.

Sono molti gli osservatori a ritenere che la Cina sia all’avanguardia nel settore dell’Ia, fra questi lo scienziato americano di origini taiwanesi Kai-Fu Lee, che sostiene che l’ecosistema tecnologico cinese è avvantaggiato rispetto a quello Usa sia per la quantità di dati a cui può attingere – come è solito ripetere: “Se i data sono il nuovo petrolio, la Cina è l’Arabia Saudita” – sia per la “forza bruta” che può mobilitare per alimentare progetti di deep learning e per l’incrollabile volontà dello Stato cinese di raggiungere la superiorità tecnologica a qualsiasi costo.

Considerazioni che in tempi di coronavirus e in cui si iniziano a intravedere le fragilità strutturali del modello cinese, possono sembrare eccessivamente ottimistiche, ma se pensiamo che il campo di battaglia dell’Intelligenza artificiale prevede la logica del winner-takes-all sembra difficile che la Cina rinuncerà tanto facilmente al vantaggio raggiunto.

Gli esiti nella competizione nel campo della Ia non sono prevedibili e, se lasciati alla sola logica della necessità del raggiungimento della superiorità tecnologica, potrebbero concretizzare le apocalittiche previsioni di Elon Musk e di Stephen Hawking, che hanno evocato i rischi di un futuro distopico in cui l’Intelligenza artificiale può mettere in pericolo la stessa sopravvivenza della nostra società.

Non sembra un caso che il primo successo della Ia sia stato raggiunto da AlphaGo, il software sviluppato da Google DeepMind in una partita di Go, il gioco cinese strategico per eccellenza, che simula l’accerchiamento e quindi la neutralizzazione dell’avversario, come a voler testimoniare cosa realmente è in gioco nella partita dell’Intelligenza artificiale, in cui la geopolitica tradizionale sembra dilatarsi nel campo indefinito e ingovernabile del cyberspazio.

A fronte di queste considerazioni, si può comprendere perché la “tregua” nella Trade war non ha contemplato il campo decisivo della competizione tecnologica, facendo prefigurare una lotta senza esclusioni di colpi, che nel prossimo futuro plasmerà al contempo le società dei paesi coinvolti e il contesto delle relazioni internazionali.