Dopo il 1978, con l’impulso di Deng Xiaoping, la strategia economica cinese si è concentrata sui progetti orientati all’esportazione e sulla sostituzione delle importazioni. Il Governo ha promosso gli investimenti esteri, richiedendo trasferimenti tecnologici significativi e una produzione locale elevata. Grazie al basso costo del lavoro, la Cina è diventata una fabbrica globale, seguendo un modello di importazione, trasformazione e riesportazione, sostenuto dalle multinazionali che hanno investito nelle operazioni di assemblaggio.
Il modello di crescita cinese ha tratto grande vantaggio dai trasferimenti tecnologici dai Paesi avanzati. All’inizio del 2000, le imprese a capitale straniero rappresentavano quasi un terzo della produzione manifatturiera cinese.
Negli ultimi vent’anni, la Cina ha compiuto passi da gigante nell’innovazione. Il numero di brevetti cinesi citati all’estero è aumentato considerevolmente, raggiungendo una crescita annua del 51% tra il 2005 e il 2014. Come osservato da Antonin Bergeaud dell’HEC e Cyril Verluise del Collège de France, la Cina ha compiuto notevoli progressi in tecnologie rivoluzionarie come la stampa 3D, la blockchain, la modifica genetica, la visione artificiale, lo stoccaggio di idrogeno e i veicoli autonomi.
Nonostante questi progressi, tuttavia, la Cina rimane in parte dipendente dagli Stati Uniti, soprattutto nella ricerca di base, settore in cui i laboratori americani mantengono la leadership. L’analisi del database Scopus rivela che l’iniziativa China Initiative degli Stati Uniti ha avuto un impatto negativo sulla qualità delle pubblicazioni dei ricercatori cinesi, riducendo la collaborazione sino-americana.
Gérard Roland dell’Università di Berkeley sostiene che, sebbene la Cina produca molti brevetti, questi sono per lo più innovazioni incrementali e non dirompenti. Tra il 1998 e il 2018, nessuna nuova molecola farmaceutica è stata scoperta in Cina, rispetto al 56% negli Stati Uniti.
In Cina, il ruolo dello Stato come imprenditore e pianificatore differisce dal modello occidentale basato sull’iniziativa privata. Se questo approccio è stato efficace nel recupero tecnologico, presenta limitazioni che impediscono alla Cina di diventare un leader nell’innovazione. La centralizzazione del potere, la mancanza di libertà individuale e un sistema educativo che scoraggia la creatività sono alcuni dei fattori che frenano il progresso.
L’intervento statale nell’R&S e nel sistema bancario porta a un’allocazione subottimale del capitale, favorisce le imprese statali e quelle legate al governo, a discapito delle private. La scarsa protezione dei diritti di proprietà intellettuale e gli standard di qualità inferiori sono ulteriori ostacoli. Nel 2023, la Cina era 50esima su 125 Paesi nell’indice internazionale della proprietà intellettuale.
Nonostante i progressi tecnologici, la Cina non ha ancora raggiunto un livello tale da poter assumere pienamente un ruolo di leader scientifico e tecnologico. Per trasformarsi in un’economia innovativa, la Cina deve aprirsi maggiormente, altrimenti rischia di cadere nella “sindrome argentina“, caratterizzata da economie che, dopo una rapida crescita, si fermano a metà strada.
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