Leggendo gli appelli “a caldo” per approvare sanzioni durissime contro la Russia di Putin si ha la percezione di uno straniamento rispetto alla realtà dei fatti. Come se l’Europa avesse il coltello dalla parte del manico e le sanzioni fossero una risposta asimmetrica con cui il Vecchio Continente controbilancia le iniziative russe. Dmitry Medvedev, dopo la decisione tedesca di fermare l’autorizzazione del Nord Stream 2, ieri ha pronosticato un prezzo del gas in Europa di 2.000 euro per 1.000 metri cubi. Le minacce di Medvedev devono essere ovviamente pesate. Prendiamo allora le dichiarazioni fatte ieri dal ministro dell’Energia del Qatar che è uno dei Paesi a cui gli Stati Uniti si sono rivolti per perorare la causa delle forniture del gas in Europa dopo le sanzioni alla Russia. Il ministro ha spiegato che nessun Paese ha la capacità di rimpiazzare le forniture russe all’Europa in caso di un’interruzione. Le notizie in questo caso sono due: la seconda è che esiste la possibilità di un’interruzione delle forniture di gas russo all’Europa. Il Qatar è “un alleato” e dalla Russia arriva il 40% del gas che si consuma in Italia e in Germania.



I prezzi ipotizzati da Medvedev, circa 200 euro a megawattora in termini di TTF, non sono una sparata senza senso, perché sono i livelli raggiunti per qualche giorno a metà dicembre quanto il prezzo di riferimento del gas in Europa è arrivato a 180. A fine dicembre il presidente di Nomisma Energia, Tabarelli, pronosticava esattamente 200 euro a megawattora in caso di guerra tra Russia e Ucraina. Per il sistema italiano vorrebbe dire spendere circa 130-140 miliardi di euro in più all’anno, 4-5 finanziarie, rispetto alla media 2015-2020; i prezzi dell’elettricità che oggi hanno portato molti settori in stato comatoso sarebbero un lontano e idilliaco ricordo del passato. 



È chiaro che le sanzioni fanno male a tutti e anche alla Russia, ovviamente, ma questi livelli sono semplicemente incompatibili con la sopravvivenza dell’economia italiana così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 70 anni. La Russia sopravvive, l’Italia no. E la Germania, sospettiamo, anche. È uno scenario che nel contesto attuale dobbiamo prendere in considerazione.

Sospettiamo allora che ci sia un grande equivoco. L’Europa pensa di essere l’ombelico del mondo e sembra ferma al 1989. C’è un mondo fuori dall’Europa che cresce, che ha bisogno del gas e che non farà mai nessuna transizione energetica. Perché i Paesi produttori dovrebbero perdere clienti potenzialmente molto più interessanti dell’Europa? Paesi che fanno più figli, crescono di più, vogliono industrie e non dicono in anticipo di volersi liberare degli idrocarburi. Trovare, produrre e spostare il gas è un mestiere costoso e difficile e i produttori preferiscono clienti in grado di prendere impegni a lungo termine. Se fosse un mestiere facile, l’Italia che non galleggia sul petrolio come l’Arabia Saudita non avrebbe avuto Eni, Snam progetti, Saipem e così via, potendosi presentare con qualche appeal a Paesi che invece hanno la materia prima. 



Forse si pensa che sia tutto uno scherzo e che non ci sia una guerra, se non in corso, sicuramente in vista. La Russia, in sostanza, ha alternative e può sopravvivere il tempo che occorre a trovarle in un mondo che è corto di materia prima; ma l’Europa non ha alternative e soprattutto non le ha in un tempo compatibile con la sua sopravvivenza economica. 

Andiamo avanti. Qualche giorno fa Bolsonaro è tornato a casa dalla Russia con un accordo per la fornitura di fertilizzanti che sono fondamentali per l’industria agricola brasiliana. I prezzi dei fertilizzanti – la cui materia prima, ricordiamo, è il gas – sono anche cinque volte più alti di dodici mesi fa in Europa al punto che gli agricoltori europei saranno costretti a far scendere la resa o a cambiare produzione. La Russia è il più grande esportatore al mondo di grano e l’Ucraina è il quinto. La Russia è anche il primo esportatore al mondo di fertilizzanti. Non è strano, visto che si fanno con il gas. 

Anche in questo caso ci sono molti Paesi con prospettive economiche più rosee di quelle europee; sia perché non hanno imprese che chiudono per la “bolletta energetica”, sia perché crescono di più. Non è facile stabilire il prezzo di alcuni prodotti alimentari in un mondo in cui diventano una risorsa scarsa e, sospettiamo, non ci sia nessun prezzo che la politica possa considerare congruo se l’alternativa è affamare i propri cittadini. L’Europa in questo nuovo mondo ha il coltello dalla parte del manico solo nella testa di chi ha perso qualsiasi contatto con la realtà o che pensa in termini neo-coloniali. 

Lo scenario ci sembra chiaro. Se le sanzioni diventano cattive stanno tutti male, ma l’Europa sarebbe messa con le spalle al muro in una situazione economica che è davvero difficile da immaginare nella sua gravità. Non è chiaro cosa questo comporterebbe in termini politici, ma tendenzialmente niente di buono e, probabilmente, molto poco di democratico, nonostante la creatività con cui si possono descrivere certe derive.

P.S.: Forse ci si appresta a verniciare il tutto con una mano di “green”. Sarebbe l’ennesima conferma di un sospetto che finora ha avuto solo conferme: si scrive “green” e si legge rosso. Come il comunismo. Un sistema politico, tra l’altro, dove di solito si mangia poco e male.

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