Parafrasando il generale prussiano Carl von Clausewitz, si potrebbe dire che oggi “legiferare è il proseguimento della guerra con altri mezzi”. Il conflitto tecnologico in atto ormai da anni tra Stati Uniti e Cina vive in questi giorni il suo ennesimo capitolo con un salto di qualità.
Quella di inibire determinati siti o social network ai cittadini è prassi piuttosto comune in diversi Paesi e la Cina in questo vanta una tradizione consolidata, ma il disegno di legge approvato dalla Camera a Washington non si limita a questo perché aggiunge un’alternativa: TikTok può continuare a operare negli Stati Uniti, ma il ramo di azienda che gestisce le attività sul suolo americano deve essere venduto dalla proprietà cinese. Si tratta di uno spostamento non trascurabile che può avere almeno tre motivazioni.
La prima è di carattere economico e attiene il valore oggettivo dell’azienda e l’indotto per il mercato statunitense; la seconda è di tipo pratico poiché il bando può essere facilmente aggirato con svariate soluzioni tecniche; la terza riguardata la mole di dati di cittadini americani conservata da TikTok che vanta oltre 100 milioni di utenti sul suolo americano. Se per caso la controllante cinese Bytedance cedesse, gli Stati Uniti farebbero un grande affare.
Detto questo, sulla vicenda specifica si impone una riflessione più generale sul tema del quadro internazionale e di chi se ne occupa. Spiegare la geopolitica attuale senza tenere conto del peso della tecnologia sarebbe come parlare di cucina senza considerare le pentole e le padelle. In definitiva, nella migliore delle ipotesi si offrirebbe una visione parziale, più realisticamente si capirebbe veramente poco di come si muovono gli equilibri internazionali e di come gli Stati agiscano. Inoltre, e questo è ancora più grave, non si terrebbero in considerazioni degli attori che ormai hanno un peso molto significativo.
Tutte le tecnologie digitali sono sotto il saldo controllo di organizzazioni private. In generale possiamo affermare che non più di 14 (oggi forse 16) aziende di fatto le gestiscano tutte a partire dai processori per risalire fino ai social network e chiudere con l’Intelligenza artificiale. A ben guardare una realtà come Google è probabilmente la migliore espressione di quella che si potrebbe definire oggi una superpotenza. Ritornando alla notizia da cui siamo partiti, uno dei timori che ha mosso gli Stati Uniti è la possibilità che i dati dei cittadini americani siano utilizzati per addestrare Intelligenze artificiali “made in China” e oggi la questione algoritmica è al centro dell’interesse di tutti i Paesi del mondo. Proprio la minaccia di quello che ho definito un “dual thinking” alternativo a quello nazionale spingerà molti Stati a ricompattare sotto la bandiera della difesa della propria cultura gran parte della popolazione. L’obiettivo sarà quello di avere un’Intelligenza artificiale che rispetti specifici valori morali, politici, religiosi introducendo il tema culturale che, come ha spiegato Carlo Sini, offre verità relativamente assolute ovvero “oggettive” in quel tempo e luogo e per quel preciso gruppo di persone, ma la cui forza costringe gli altri ad adeguarsi al “sentire comune”.
Quel mondo che una tecnologia ha unito (la Rete), un’altra (l’IA) potrebbe dividere.
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