Gli ultimi dati sul mercato del lavoro americano pubblicati ieri, seppur in rallentamento, consegnano un quadro ancora positivo. Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,5% dal 3,6% di giugno e i salari sono saliti dello 0,4% rispetto al mese precedente battendo le stime di un rialzo dello 0,3%.
I pronostici sulla data di arrivo del rallentamento economico e della sua intensità sono al centro delle riflessioni degli investitori da mesi. I rialzi delle banche centrali, l’inflazione ancora superiore alle medie degli ultimi 40 anni e le tensioni commerciali prima o poi, questa è la tesi, si scaricheranno sui consumi e sull’economia innescando un rallentamento. Questi elementi riguardano l’America e molte altre economie sviluppate.
C’è un secondo aspetto da valutare, perché il rallentamento economico potrebbe riguardare tutti, ma impattare in maniera diversa.
L’inflazione è alta sia negli Stati Uniti che in Europa, ma mentre l’inflazione in America a giugno era del 3,0%, in Europa nello stesso mese era quasi doppia al 5,5%. Mentre il Pil nell’area euro è cresciuto dello 0,3% nel secondo trimestre, in America è salito del 2,4%. L’inflazione è sopra la media sia da questa parte dell’oceano che dall’altra, ma i numeri non sono gli stessi; lo stesso vale per la crescita economica nei mesi appena conclusi.
Il quadro cambia e si registrano segnali di rallentamento ed è inevitabile chiedersi se questa “crisi” prenderà forme diverse in Europa e negli Stati Uniti con questi ultimi capaci di evitare la recessione del tutto almeno fino alle elezioni di fine 2024. Per gli analisti di Bank of America, dal 2020 gli Stati Uniti sono entrati in una fase di eccessi fiscali e questo può essere una parte della spiegazione; anche in Europa, in realtà, si sono visti deficit fuori scala e si discute di sussidi massicci alle imprese, per esempio in Germania, ma gli eccessi sono più contenuti.
Più passa il tempo, più i dati dipingono una divaricazione all’interno del mondo “occidentale”. L’aneddotica lo conferma e le compagnie aree americane segnalano un trasferimento della domanda di voli dal mercato domestico a quello internazionale ed europeo: gli americani escono dal Paese e vanno in vacanza in Europa perché questa costa molto meno. America ed Europa non sono sulla stessa barca “economica” e la ragione profonda è sotto gli occhi di tutti. Ai confini dell’Unione è scoppiata una guerra che ha sconvolto le forniture energetiche della sua industria e la fine della globalizzazione ha messo all’angolo un continente che vive di esportazioni e commerci molto più che di domanda interna.
Europa e America oggi hanno necessità molto diverse. Non riconoscere questo dato di fatto e non tirarne le conseguenze è, come minimo, una politica miope.
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