Da Davos Donald Trump torna a minacciare l’introduzione di dazi verso l’Unione europea, in particolare per quel che riguarda il settore dell’auto. Una minaccia che non arriva a caso, non solo perché dopo la tregua raggiunta con Pechino il fronte della guerra commerciale del Presidente Usa si è spostato verso Bruxelles, ma anche perché alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, continuano a voler introdurre la web tax che rischia di pesare non poco sul business dei giganti tech americani, come Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google. Per ora, a seguito di un’intesa tra Washington e Parigi, l’applicazione della tassa sui profitti delle multinazionali digitali è stata sospesa in attesa di un accordo globale in materia in sede Ocse, ma, come ha ribadito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in assenza di tale accordo la web tax in Italia scatterà comunque a febbraio 2021. La minaccia di Trump potrebbe sfociare in una guerra commerciale tra Usa e Ue? Lo abbiamo chiesto a Mario Deaglio, Professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Professore, Trump ha da poco raggiunto un’intesa con la Cina. Potrebbe nascere una guerra commerciale tra Usa e Ue?
Bisogna anzitutto collocare la minaccia del Presidente Usa nel contesto politico in cui si è sviluppata. Essendoci l’impeachment in cui è al centro dell’attenzione, è suo interesse sviare questa attenzione e focalizzarla su aspetti per lui positivi. Sarà un caso, ma l’uccisione di Soleimani e le tensioni con l’Iran, l’accordo con la Cina e adesso queste minacce all’Europa sono arrivate nelle ultime settimane proprio quando ci si è avvicinati all’avvio del processo contro il Presidente. Un processo importante per le sue chance di rielezione. In ogni caso l’Unione europea non è sprovvista di armi per affrontare un’eventuale guerra commerciale.
A cosa si riferisce?
La web tax è il tentativo di chiamare i veri profitti alti che si nascondono a contribuire alle spese complessive. E mi fa piacere che Gualtieri abbia evidenziato che l’Italia intende andare avanti sull’introduzione di questa imposta. In ogni caso non drammatizzerei troppo la situazione, abbiamo visto che in genere Trump lancia una minaccia grossa, anche per mettere in difficoltà l’interlocutore, ma poi negozia. Inoltre, non è stata messa una data per l’entrata in vigore di questi dazi, cosa che invece è avvenuta con la Cina.
Come per la Cina si potrebbe arrivare a un accordo tra Usa e Ue, Ursula von der Leyen si è detta possibilista in merito…
Probabilmente sì, senza però che noi partiamo con quella serie di dazi che sono comunque rimasti in vigore dopo l’accordo sulla fase 1 di pochi giorni fa. L’Ue potrà comunque cercare di far valere la sua posizione sulla web tax, chiamando magari anche in causa l’Antitrust che in passato ha già comminato sanzioni ai colossi tech americani.
Chi ha più da perdere tra Usa e Ue da un’eventuale guerra commerciale?
Guardando in termini immediati e considerando un’ampia gamma di merci, sicuramente l’Ue, perché è in surplus commerciale. Non sarebbe facile per gli Stati Uniti indirizzare le sanzioni a un singolo Paese dell’Ue. Scegliendo determinate categorie di prodotti, tuttavia, si può certamente sapere chi verrebbe più danneggiato. Ci sono comunque diversi fattori da considerare, oltre a quello della tipologia di beni oggetto dei dazi. Per esempio, le filiere di produzione attraversano i continenti e non è detto che il prodotto che esce con il “timbro” europeo sia stato poi interamente realizzato all’interno dei confini Ue. Bruxelles, oltre alla web tax, ha poi un’altra arma.
Quale?
L’Ue si sta impegnando, come altre nazioni, contro i cambiamenti climatici, gli Usa no. Questo potrebbe consentire di introdurre dazi specifici sui prodotti americani che più inquinano. Potrebbe essere una mossa da utilizzare in caso di escalation. Potremmo anche cercare altri sbocchi per l’export, dalla Cina all’Africa, dove esiste l’Afcfta, un’area di libero scambio con un bacino di oltre 1,2 miliardi di persone, con cui si possono siglare accordi.
L’Europa ha sempre avuto un rapporto privilegiato con gli Usa. L’atteggiamento di Trump non rischia di spingerla verso la Cina?
Se gli Stati Uniti continuano a considerarci non tanto come alleati, ma come compratori dei loro servizi di sicurezza, allora potremmo anche fare dei patti con Cina e Russia e rimuovere la cause di insicurezza. Faccio notare che la russa Rosneft ha già abbandonato il dollaro come valuta di riferimento per adottare l’euro. Washington rischia anche di rimanere indietro nella sfida tecnologica del 5G: penso che l’Europa abbia i mezzi per fornirsi dalla Cina senza compromettere la propria sicurezza. Se rimane questa solitudine americana il rischio è che ci perdano gli Usa. Io penso che dietro a Trump ci siano molte persone, dal Segretario di Stato a quello al Tesoro, che vogliono discutere e ritengo che passate le elezioni i toni saranno diversi.
Se fosse rieletto Trump potrebbe quindi esserci una distensione?
Sì. Allargando il discorso a Trump, c’è da chiedersi se i democratici non abbiano una carta segreta per l’impeachment che il Presidente teme in modo particolare. Anche se non dovesse essere ammessa al processo, ma finisse sui giornali. Questo potrebbe anche spiegare questo suo attivismo nel cercare di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica altrove.
(Lorenzo Torrisi)