UTERO IN AFFITTO, LA STORIA CHOC ARRIVA DALLA CALIFORNIA: MADRE SURROGATA COSTRETTA A ABORTIRE

È sempre piuttosto difficile riportare storie come quelle di Brittney Pearson perché – al netto di ogni giudizio che si può trarre da una vicenda che vede una madre surrogata in gravidanza con “utero in affitto” per una coppia gay scoprirsi malata di cancro e costretta infine ad abortire – banalmente sono questioni talmente “intime” da limitare il più possibile un giudizio tranciante non conoscendo di persona i protagonisti.



Eppure lascia piuttosto sbigottiti la storia di Brittney, sia per la reazione della coppia di padri “affittuari” del bimbo in pancia alla notizia della malattia della donna “surrogata”, sia per le minacce che ne conseguono e sia, sopratutto, per l’epilogo tragico finale. 37 anni, già madre di 4 figli, proviene da una gravidanza cosiddetta “GPA” (gestazione per altri) decide di accettare un secondo utero in affitto per “donare” un bambino ad una coppia omosessuale della California. Come racconta però il Daily Mail che ha sentito la donna dopo il racconto su Facebook che ha sconvolto gli Usa, all’inizio della gravidanza a Brittney le diagnosticano un cancro al seno: i medici del Sutter Health Medical Center di Sacramento inizialmente le spiegano che la gravidanza può essere portata a termine con parto indotto a 34 settimane di gestazione, in quanto il trattamento chemioterapico risulta compatibile.



LA MADRE SURROGATA: “COPPIA GAY MI HA MINACCIATA. VOLEVO SOLO DARE UNA FAMIGLIA…”

La coppia gay californiana in un primo momento caldeggia l’ipotesi delle cure per la donna e allo stesso tempo di proseguire la gravidanza: se già qui la storia risulta piuttosto contorta, d’ora in avanti assume i connotati di un incubo. Il cancro si diffonde infatti più del previsto e la chemio necessita di un surplus di trattamenti che potrebbero a questo punto ledere sì il nascituro: è qui, denuncia Brittney Pearson, che la coppia di “padri” destinatari della maternità surrogata si oppongono con tutte le forze e minacciano azioni legali. Cosa chiedono è semplice: vogliono far abortire immediatamente la donna, minacciando per l’appunto denunce contro chiunque anche tra i medici non provveda subito a far terminare la gravidanza (uccidendo il bambino, crudo da dire ma è un dato di realtà inoppugnabile, ndr).



Erano convinti che il bambino non ce l’avrebbe fatta e che inoltre fosse nato con possibilità di avere problemi problemi di salute e di sviluppo del corpo: il Center for Bioethics and Culture Network, un gruppo anti-utero in affitto interpellato dal Daily Mail, ha riferito sul caso Pearson raccontando come i due padri LGBT avrebbero detto a Brittney che loro «il nostro Dna là fuori non vogliamo sia allevato da qualcun altro». Insomma, come ha poi confessato la stessa donna, non volevano nemmeno dare in adozione il bimbo che stavano rifiutando e che avrebbero voluto far abortire: «Non volevano misure salvavita se il bambino fosse nato vivo. Volevano che il bambino sparisse completamente». Pearson ha poi detto a DailyMail.com dell’angoscia che ha provato dopo che i potenziali padri avrebbero «minacciato tutti quelli che potevano con una causa», tra cui lei, la sua agenzia e Sutter Health. Addirittura il suo team di oncologi dopo essere stati minacciati di azioni legali hanno detto alla madre surrogata che non erano sicuri di poterle fare la chemio e che avrebbero contattato i propri avvocati. «È stato frustrante perché volevo dare loro una famiglia: mi sono sentita tradita e sfruttata con utero in affitto, con il cuore spezzato», ha confessato la donna. Potremmo concludere l’articolo con considerazioni morali-etiche anche molto nette che portino all’attenzione tutte le gravissime conseguenze che può celare l’idea di una “gestazione solidale”: scegliamo invece di chiudere con l’epilogo, il più tragico possibile che forse vale molto più di qualsiasi sermone. Pearson ha espresso il suo desiderio di far nascere il bambino prematuramente e iniziare la chemioterapia nel tentativo di salvare entrambe le loro vite: la donna ha trovato un ospedale disposto a indurre il travaglio ma il bambino nato prematuro purtroppo è morto non molte ore dopo.