MARZANO CONTRO MELONI SULL’UTERO IN AFFITTO. LA REPLICA DI SCARAFFIA

«L’utero in affitto, perché no?»; «L’utero in affitto è inaccettabile». Spesso – diciamo quasi sempre – non mi appassionano mai troppo i “botta e risposta” sui quotidiani, rischiano sempre di avere un afflato di “snob” in sottinteso che non aiuta a comprendere meglio la realtà ma solo a rendere coscienza di una contrapposizione meramente intellettuale.



Questa volta però facciamo uno “strappo” alla regola in quanto lo “scontro” sui quotidiani è funzionale a capire meglio cosa si cela dietro al concetto della maternità surrogata. Lo “scambio” iniziale riprende una lettera e contro lettera apparse negli ultimi giorni su “La Stampa” a firma rispettivamente Michela Marzano (filosofa, scrittrice, ex parlamentare Pd) e Lucetta Scaraffia (storica, giornalista e femminista). Il tema è quello noto dell’utero in affitto, o meglio della “gestazione per altri”, o ancora meglio della “maternità surrogata”: la proposta di legge a firma Giorgia Meloni, adottata dal Centrodestra, è passata in Commissione e si appresta dunque ad approdare in Parlamento nelle prossime settimane. La concezione di utero in affitto come “reato universale” – dunque applicabile anche in casi in arrivo dall’estero – ha fatto però schizzare sulla sedia l’intellettuale Marzano che non condivide affatto il tema di fondo della proposta Meloni: «È così difficile pronunciare le parole ‘gestazione per altri’? Perché, quando si parla di questa pratica, non si riesce semplicemente a nominarla per ciò che è, e si deve per forza connotarla negativamente utilizzando espressioni come ‘utero in affitto’ o ‘maternità surrogata’?», lamentava su “La Stampa” la filosofa Michela Marzano. Non solo, secondo l’ex parlamentare la paternità e la maternità sono «sempre complesse e permettetemi di dirlo, quasi mai frutto di un gesto altruistico. «Quante sono le persone che hanno figli perché è così che si fa, oppure capita, oppure li vogliono con la stessa forza con cui si può volere un cane o un gatto?». Ebbene, il 24 aprile su “La Stampa” arriva la pronta replica di Lucetta Scaraffia che evitando correttamente lo “scontro ideologico-politico” riflette sui contenuti della pratica GPA e delle argomentazioni di Marzano.



SCARAFFIA: “UTERO IN AFFITTO? TRAUMA DA ADULTI EGOISTI”

«Non è facile avanzare critiche libere e non ideologiche sulla pratica dell’utero in affitto», commenta la docente di storia, «come avviene in altre circostanze odierne in cui viene prospettato un allarmante dei diritti individuali, un’operazione ritenuta da molti positiva sempre e in ogni caso anche se applicata a diritti come il “diritto ad un figlio”». Ebbene, su questo particolare “diritto” Scaraffia contesta l’assunto della Marzano: «tali diritti sulla cui vera esistenza è lecito nutrire dubbi fondatissimi».



La complessità morale è tanta, il dolore che si cela dietro l’impossibilità di potere avere bambini lo è altrettanto: Scaraffia però nota anche nel frattempo che un altro dolore di cui si dice ben poco è quello di chi l’utero lo “dona”, «la loro prestazione d’opera viene presentata come percorso naturale, non è per nulla così». Prelievo e impianto di ovuli, cure ormonali per settimane e analisi costante per evitare aborti spontanei: secondo Scaraffia il concetto stesso di “utero in affitto” è inaccettabile e non per meri motivi ideologici. «Anche se le donne fossero libere di decidere in piena coscienza» sulla maternità surrogata, scrive ancora la docente, «resta sempre una grande, inquietante domanda intorno a questa situazione. Qual è il travaglio emotivo, il turbamento, di queste donne mentre sentono crescere dentro di sé una via con la quale dovranno rescindere immediatamente ogni legame?». Secondo Lucetta Scaraffia, la gravidanza “per altri” è molto problematico in quanto il corpo delle donne «non è come un forno in cui si mette a cuocere una torta». Rispondendo direttamente alla ipotesi quasi “semplicistica” offerta da Marzano, Scaraffia ribatte che il distacco della madre che porta nel suo ventre un bambino è un trauma vero: «la cosa che a me pare terribile», conclude la giornalista, «è che mentre per i casi dei bambini dati in adozione si riconosce senza problemi il trauma della madre naturale nell’abbandono […] nel caso dell’utero in affitto non si vuole vedere questo trauma». Un trama, lo definisce Scaraffia, «prodotto appositamente per rendere “felici” due adulti egoisti che, non volendo adottare un bambino abbandonato, ne vogliono uno che abbia i loro geni, che porti il loro indelebile marchio di fabbrica».