UTERO IN AFFITTO “APPROVATO” IN ITALIA: LA SENTENZA DEI GIUDICI DI PIACENZA FA DISCUTERE

Davanti a casi come quelli avvenuti a Piacenza occorre sempre ricordare un antefatto decisivo: in Italia l’utero in affitto (o gestazione per altri, o ancora maternità surrogata) è un reato. Lo era prima, lo è ora e lo sarà anche in seguito, con l’aggiunta del disegno di legge del Governo Meloni che punta a rendere reato universale la GPA anche all’estero. Lo sanno tutti, direte voi, eppure una donna è stata prima indagata ma poi del tutto archiviata per aver sostanzialmente riconosciuto in Italia un figlio nato con utero in affitto in Georgia (nell’Est Europa, ndr).



Dopo l’inizio della guerra in Ucraina il mercato internazionale legato alla GPA si è di fatto trasferito interamente in Georgia, con la capitale Tblisi divenuta la nuova “patria” delle nascite con madre surrogate per coppie di mezza Europa e non solo: una delle tante che ha sfruttato il “fenomeno” è quella protagonista della storia raccontata oggi dal quotidiano locale “La Libertà”, con la donna indagata dalla Procura di Piacenza per falsa attestazione ad un pubblico ufficiale sull’identità personale. Indagata ma poi archiviata per «particolare tenuità del fatto», di fatto dunque approvando l’esercizio dell’utero in affitto.



LA STORIA DELLA DONNA INDAGATA E ARCHIVIATA PER UTERO IN AFFITTO IN GEORGIA: “FIGLIA MIA GRAZIE ALLA SURROGATA”

Dai faticosi tentativi di intraprendere la strada dell’adozione internazionale, al grande desiderio di costruire una famiglia con figli: la donna di Piacenza racconta come la vera svolta per lei e il marito è giunta guardando un servizio anni fa in tv che parlava del percorso per l’utero in affitto in Ucraina. Con la guerra la decisione (saggia) di recarsi in Georgia porta i frutti sperati: tramite madre surrogata georgiana, la donna riesce a tornare da Tblisi ma “trova” un avviso di garanzia assieme al neonato che ha portato con sé.



La donna racconta a “La Libertà” di aver seguito tutto l’iter, con il transfer dell’embrione fecondato e il prelievo di tutti materiali biologici necessari, affermando che non vi è alcun legame tra la madre surrogata e il bimbo poi nato, se si “esclude” l’impercettibile questione che ha l’ha ospitato per 9 mesi nel proprio utero. «Io non voglio sfruttare nessuno», si confessa la protagonista della vicenda che spiega come il costo totale sia di circa 18-20mila dollari, perciò risulta evidente come chi intraprende questa strada deve di fatto avere buone risorse economiche di proprio. La donna spiega poi che le ragazze candidate alle cliniche per la GPA in Georgia devono essere della classe media, con reddito minimo, «sposate e con già dei figli avuti».

Ai colleghi de “La Libertà” la donna infine raconta di come è stata trattata in Italia dalle forze dell’ordine, denunciando gli epiteti e gli insulti ricevuti, «mi sono sentita chiamare da certuni ‘abominevole‘ mi sono quindi rivolta a un avvocato specializzato in maternità surrogata». Dopo l’intero iter giudiziario arriva l’archiviazione per “tenuità del fatto”, così – conclude – «se avessimo pensato di non rispettare la legge non avremmo mai iniziato questo percorso». Resta il dato legale e costituzionale dell’intera vicenda: è possibile che una legge chiara e netta su un reato possa essere “aggirata” da sentenze della magistratura? Dal caso di Piacenza, seppur complesso e molto particolare, pare proprio di sì…