Uno studio pubblicato su Human reproduction dimostra che la pratica dell’utero in affitto potrebbe essere rischioso per le donne. I dati, presentati al meeting della Società europea di riproduzione umana (Eshire) svoltosi ad Amsterdam e riportati da La Verità, riguardano quasi un milione di nascite singole avvenute nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021 in Ontario e in Canada. Essi sono stati distinti in maternità surrogata, fertilizzazione in vitro e concepimenti non assistiti. 



In particolare sono tre i fattori che destano preoccupazione: i tassi di emorragie post partum che ammontano al 13,9% per la maternità surrogata, al 10,5% per la fertilizzazione in vitro e al 5,7% per i concepimenti non assistiti; i disturbi ipertensivi in gravidanza che ammontano al 13,9% per la maternità surrogata, all’11,6% per la fertilizzazione in vitro e al 6,6% per i concepimenti non assistiti; e più in generale il tasso di mortalità materna grave, che ammonta al 7,1% per la maternità surrogata, al 4,6% per la fertilizzazione in vitro e al 2,4% per i concepimenti non assistiti. I problemi però non riguarderebbero esclusivamente le mamme naturali, ma anche i bambini. I neonati che manifestano problemi di salute entro i 28 giorni di vita sono infatti il 6,5% di quelli avuti con maternità surrogata. Il dato in questo caso però è simile a quello dei concepimenti non assistiti, pari al 6%. È più alto invece per le Ivf, dato che risulta al 9,1%.



I motivi per cui l’utero in affitto è più rischioso per le donne

Gli esperti si stanno interrogando su quali sono i motivi che renderebbero la gravidanza con utero in affitto più rischiosa di quella con concepimento naturale, ma non ci sono ancora delle spiegazioni certe. Esse possono essere molteplici, sia fisiche che psicologiche, ma anche relative al contesto sociosanitario. A parlarne è stata proprio l’autrice dello studio, ovvero la dottoressa Marina Ivanova, della Queen’s University di Kingston.

“A influire sono differenze nella salute di base o nelle caratteristiche sociodemografiche di coloro che scelgono di diventare madri surrogate, potenziali differenze nell’assistenza e nel monitoraggio prenatale, l’impatto fisiologico e psicologico associato alla gravidanza di un’altra persona, nonché gli effetti dei trattamenti utilizzati durante il processo di fecondazione. Queste donne avevano anche meno probabilità di appartenere alla fascia di reddito più alta e sappiamo che uno status socioeconomico inferiore è associato a tassi di morbilità materna grave più elevati. Tuttavia, nell’analisi sono state prese in considerazione le caratteristiche sociodemografiche e i risultati erano simili, il che suggerisce potenziali meccanismi diversi”, ha affermato. Insomma, il fenomeno pone ancora tanti punti di domanda da studiare.