“UTERO IN AFFITTO SU DONNE MORTE”: LA PROPOSTA CHOC DELLA RICERCATRICE DALLA NORVEGIA

Sfruttare donne clinicamente morte o in stato vegetativo persistente (PVS) per poter condurre una maternità surrogata, nome “nobile” della pratica di utero in affitto: non si tratta di una trama di un film distopico, men che meno del nuovo episodio di “Black Mirror”. È invece la proposta seria fatta da una professoressa ricercatrice della Norvegia, apparsa sulla rivista di medicina bioetica “Journal of Theoretical Medicine and Bioethics”: si tratta di Anna Smajdor, docente di filosofia pratica presso l’Università di Oslo e ideatrice del possibile utero in affitto da “sfruttare” su donne clinicamente morte o poco più.



L’invito ha immediatamente indignato la comunità scientifica, o almeno parte di essa visto che ci sono stati anche apprezzamenti sull’idea che mina alle basi il rapporto già di suo delicato tra etica e scienza. Nel lungo articolo scientifico vengono portati numeri e pratiche sulla strada da utilizzare per poter utilizzare quei corpi “donati” delle donne per scopo gestazionale, alla stessa stregua di quanto viene utilizzato con la donazione degli organi.



IL “CONFINE” DELLA SCIENZA: COSA CI DICE LA STORIA DELL’UTERO IN AFFITTO DALLA NORVEGIA

Un atto per il bene della scienza e di altre coppie senza figli: questo il senso della proposta della prof. Smajdor sull’utero in affitto da donne clinicamente morte. La docente spiega che i corpi di pazienti di sesso femminile in stati vegetativi persistenti (PVS), o di coloro che hanno subito la morte cerebrale, «potrebbero essere usati come incubatrici di tutto il corpo per bambini surrogati». Aprendo l’articolo scientifico la professoressa dichiara: «La donazione gestazionale di tutto il corpo offre un mezzo alternativo di gestazione per i futuri genitori che desiderano avere figli ma non possono o preferiscono non gestare. Sembra plausibile che alcune persone siano disposte a considerare la possibilità di donare tutto il proprio corpo per scopi gestazionali proprio come alcune persone donano parti del proprio corpo per la donazione di organi».



Non solo, secondo Smajdor è già noto alla scienza che le gravidanze possono essere portate a termine con successo anche da donne in morte celebrale: perciò, «Sappiamo già che le gravidanze possono essere portate a termine con successo nelle donne in morte cerebrale. Non c’è alcuna ragione medica evidente per cui l’inizio di tali gravidanze non sarebbe possibile. In questo articolo, esploro l’etica della donazione gestazionale di tutto il corpo». L’idea choc però non si limita solo a considerare a livello scientifico il trarre profitto da corpi di donne semi-morte in letti di ospedale e nemmeno solo e nemmeno alla possibilità di usare quei corpi come sorta di “incubatrici”; secondo teorie non esattamente “spiegate” nel dettaglio, la ricercatrice afferma in un tripudio-trionfo di “inclusività” politicamente corretta «Suggerisco che se siamo felici di accettare la donazione di organi in generale, le questioni sollevate dalla donazione gestazionale di tutto il corpo sono differenze di grado piuttosto che nuove preoccupazioni sostanziali. Inoltre, identifico alcune possibilità intriganti, incluso l’uso di corpi maschili, forse aggirando così alcune potenziali obiezioni femministe».