“VA’ PENSIERO”: DAL LIBRETTO DI SOLERA ALLE MUSICHE DI VERDI
“Va’ pensiero” e l’importanza nella storia dell’opera lirica nel “Nabucco” di Giuseppe Verdi: questa sera l’immortale coro del capolavoro del compositore parmense tornerà protagonista in prima serata su Rai 3, a partire dalle ore 21.20, in un appuntamento-evento nella sempre suggestiva cornice dell’Arena di Verona. Con la straordinaria partecipazione di Luca Zingaretti e per la regia (oltre che i costumi) di Arnaud Bernard potremo riascoltare l’aria della terza opera lirica del genio originario di Roncole, l’opera che lo consacrò definitivamente all’epoca dopo il fortunato esordio del marzo 1842 e composta sul libretto di Temistocle Solera. Ma qual è la storia del “Va’ pensiero (sull’ali dorate”) e cosa sappiamo della sua genesi artistica?
Parlare del “Va’ pensiero” nel “Nabucco” di Giuseppe Verdi ci porta innanzitutto a sintetizzare la trama dell’opera e a contestualizzarla nel momento storico in cui visse il compositore e politico italiano. Il tema centrale ruota attorno alla prigionia degli ebrei e la loro oppressione dopo la sconfitta patita da Nabucodonosor, re di Babilonia: quell’oppressione era un chiaro rimando alla situazione delle popolazioni dell’Italia prima del completamento del processo unitario. In particolare, i versi del coro più celebre e che -per paradosso- nel corso del tempo ha finito per mettere in ombra il “Nabucco” stesso, collocato nella terza parte dell’opera, furono ispirati a Solera dal Salmo 137 e rappresentano, più che un anelito patriottico come molti l’hanno letto, un vero e proprio grido di dolore da parte del popolo ebraico prigioniero davanti al fiume Eufrate.
IL NABUCCO, TRA LA CENSURA E QUEL CANTO DI DOLORE CHE…
Insomma, il “Va’ pensiero” del “Nabucco”, pur avendo importanti connotazioni patriottiche, nacque in realtà come inno di dolore più che di semplice riscossa degli italiani oppressi nella seconda metà del 1800: questo coro, in tonalità di Fa diesis maggiore e dal tono molto sommesso ha i suoi momenti culmine in alcuni passaggi davvero emozionanti come quello che recita “Arpa d’or dei fatidici vati” e, al di là di ogni più rosea immaginazione da parte di Solera e dello stesso Verdi, ha avuto nel corso dei secoli un’eco clamorosa dato che quelle parole e la musica paiono raccontare molto più di quello che dicono. Il librettista, tuttavia, dovette architettare alcuni stratagemmi affinché il testo superasse la ferra censura austriaca dell’epoca e far immedesimare in maniera non diretta e immediata il popolo italiano con le pene di quello ebraico.
Per quanto concerne infine la genesi del “Va’ pensiero” del “Nabucco” e la dolente richiesta di un popolo verso il loro Dio affinché, dopo un attacco più sommesso, li spinga a reagire alla sofferenza, va ricordato un episodio: pare che Giuseppe Verdi non volesse inizialmente musicare il libretto di Temistocle Solera, forse scottato anche dal fiasco della propria opera precedente e fiaccato nell’animo da alcuni pesanti lutti famigliari. Poi, all’improvviso, la fulminazione: “Gettai il manoscritto sul tavolo, fermandomi ritto in piedi davanti. Il fascicolo cadendo sul tavolo stesso si era aperto: senza saper come, i miei occhi fissano la pagina che stava a me innanzi e mi si affaccia questo verso: ‘Va’ pensiero, sull’ali dorate’…” scrisse il compositore. Dalla disperazione all’estasi creativa e al successo: il resto è storia…