“Noi con Vacanze di Natale abbiamo copiato gli italiani, ma il film è diventato così famoso che sono stati gli stessi italiani a iniziare a copiare il film”, così Enrico Vanzina ha ricordato il suo (e del fu fratello Carlo, regista e cosceneggiatore) film più famoso, inaugurando a Cortina il 15 dicembre scorso il weekend di celebrazione dei 40 anni dalla sua uscita. Presenti per l’occasione diversi protagonisti dell’epoca, tra cui Jerry Calà, Stefania Sandrelli, il produttore Aurelio De Laurentiis e la Senatrice Lucia Borgonzoni – sottosegretario di Stato per la Cultura -, la quale, in preda a delirio entusiastico, si è spinta a definire Vacanze di Natale un film che “ha segnato la storia del cinema italiano, creando un genere”. Ha anche aggiunto che il film ha saputo “raccontare la nostra società di quegli anni e affrontare temi anche importanti”.



Ora, togliendo un po’ di peso-tara alle succitate dichiarazioni, inevitabile nelle occasioni celebrative come quella andata in scena all’Hotel Poste di Cortina, storica location del film, si può provare a raccontarne l’eziologia e il decorso mettendola nel seguente modo. Vacanze di Natale dei fratelli Vanzina fu effettivamente qualcosa di relativamente nuovo e genuinamente fresco nel panorama del cinema italiano di allora. Raccontava, è vero, qualcosa che c’era nella nostra società dei primi anni Ottanta, senza la pretesa di esaurire tutta la fauna del sociale nella caratterizzazione dei suoi tre-quattro personaggi principali (tra i quali spicca Guido Nicheli, simpatico stereotipo del cafone milanese arricchito). Che poi abbia affrontato “temi anche importanti” è molto discutibile, seppure risulti apprezzabile la leggerezza scanzonata che caratterizza il tono complessivo del film, lascito della stagione d’oro della nostra commedia che i fratelli Vanzina hanno saputo riproporre con garbo. È altresì vero che Vacanze di Natale, bontà sua, ha involontariamente creato un filone, ma la circostanza ha troppo scarsa nobiltà per essere oggi celebrata. Il suddetto filone si è composto infatti di film via via sempre più beceri, concepiti al solo scopo di sfruttare la scia sul piano strettamente commerciale. È invece falso che Vacanze di Natale abbia innescato un genere, nel senso stilistico-tematico del termine. I generi al cinema sono qualcosa di nettamente diverso dal fare e rifare sempre – sostanzialmente – lo stesso film, variando di volta in volta solo le dosi dei medesimi ingredienti, arrivando fatalmente a peggiorare il prodotto a ogni successivo esemplare. Le parole di meritata simpatia, e cauta stima sul piano filmico, che si possono spendere per Vacanze di Natale non si attagliano quindi per nulla alla pletora dei numerosi seguiti, e di tutto il successivo indotto anche non natalizio che il film, per lo più indirettamente, ha prodotto.



Il termine Cinepanettone, coniato a posteriori per connotare in senso spregiativo (meritato) i numerosi film natalizi disimpegnati quando non demenziali che lo seguirono, non dovrebbe essere usato per ricordare il primo Vacanze di Natale. Per il semplice motivo che all’origine Carlo ed Enrico Vanzina non intesero fare altro se non del sano cinema di intrattenimento, ispirato a qualcosa di già esperito nella storia della commedia all’italiana (il film di Camillo Mastrocinque del 1959 Vacanze d’Inverno, con Alberto Sordi e Vittorio De Sica), aggiornato dai suddetti con sufficiente perizia. Il successo epocale del Vacanze di Natale vanziniano, che come pochi altri seppe catturare trasversalmente spettatori diversi per età, provenienza e acculturazione, ha fatalmente fatto il resto.



Di recente ho assistito a una conferenza di Enrico Vanzina. Col pretesto della presentazione del suo ultimo libro, lo sceneggiatore romano ha intrattenuto i presenti, per almeno due ore filate, con la cronistoria, condita di infiniti gustosi aneddoti, della sua famiglia e del rapporto di essa col mondo del cinema. Nell’occasione, molto piacevole e interessante, ho scoperto, e in parte rivalutato, un personaggio di spettacolo autentico, sincero e scanzonato quanto basta, che ha giustamente onorato il padre (Steno, al secolo Stefano Vanzina, regista attivo dai primi anni Cinquanta fino al 1988, anno della scomparsa. Al suo attivo oltre 70 film, tra cui alcune delle migliori performances di Totò) senza pretendere di esserne l’erede culturale. Che ha scritto cinema (il regista era il compianto fratello Carlo) con spirito di sano e ottimistico intrattenimento. Poi nella sua epoca di riferimento – dai primi anni Ottanta in poi – il cinema italiano nel suo complesso era ormai diventato la pallida brutta copia della commedia ispirata che fu, e un autore di taglio popolare come Enrico Vanzina non poteva certo, in tal contesto, inventarsi percorsi alternativi di stile e contenuti. Da sottile e intelligente uomo di spettacolo, ha proposto negli anni cinema di puro spettacolo di vario livello, a volte più ispirato e altre francamente scadente, sempre però con semplicità ed onestà intellettuale. D’altronde in campo artistico – in senso lato – il pubblico è sovrano assoluto: la visione e l’apprezzamento di qualunque opera sono per esso, è ovvio, facoltà e non obbligo. Corre obbligo, invece, a un autore assennato tenerne conto.

Nell’occasione di questo quarantesimo anniversario, Vacanze di Natale 83 verrà proiettato ancora nelle sale il 30 dicembre prossimo in data unica, nella versione recentemente restaurata e rimasterizzata. E allora per chi ci sarà, ma anche per tutti gli altri vicini e lontani, buon divertimento e buone vacanze di Natale.

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