In questa estate sembra che la sfida elettorale sia la cosa più importante per i partiti, quando invece all’interno del bilancio delle famiglie, soprattutto per quelle in difficoltà economica, le vacanze sono spesso una delle prime voci di spesa a essere sacrificate. Un problema non affatto residuale: nel 2020, primo anno di emergenza Covid, circa il 37% dei nuclei familiari ha dichiarato di non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa, ma oggi la percentuale è cresciuta e in media quasi 4 famiglie su 10 rinunciano alle vacanze per motivi economici. Poi il dato più significativo è che Il 44,5% delle famiglie con 3 figli rinuncia alle vacanze. 



Studiando i numeri emerge con prepotenza come la quota di famiglie che non possono permettersi una settimana di ferie all’anno sia molto superiore nel Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia. Superano la metà del totale sia nel sud continentale (50,8%) che nelle isole (50,1%). La percentuale è più contenuta nel resto del Paese, anche se riguarda comunque più di un nucleo su 3 nel centro Italia (37,2%) e oltre uno su 4 nel nord-ovest (28,8%) e nel nord-est (26,7%).



Ci siamo anche presi la licenza di analizzare i vari programmi elettorali, ma di famiglia se ne parla poco, ancor meno di prospettive di attenzione. La verità è che non si è consolidato un luogo istituzionale di dibattito (al di fuori cioè dell’accademia e degli istituti di ricerca) su che cosa debba considerarsi un livello accettabile di vita tenuto conto delle aspettative crescenti di benessere della popolazione italiana. 

Il processo di costruzione statistica del dato non è mai un atto neutrale, ma meno che mai lo è nel caso della povertà. Nell’idea dei bisogni che devono essere soddisfatti per non essere considerati poveri rientrano, infatti, non solo quelli legati alla sopravvivenza fisica – come essere ben nutrito o non soffrire il freddo -, ma anche quelli di natura sociale, come la possibilità di partecipare alla vita della comunità, grazie ad esempio a una buona istruzione, e di mantenere le basi del rispetto di sé, anche attraverso la possibilità di svolgere un lavoro dignitoso.



All’inizio del Novecento, si provò a comporre un elenco di ciò che era assolutamente necessario includendovi anche la possibilità di comprare bambole, biglie e dolciumi ai bambini. Ma cos’è oggi la povertà relativa e assoluta e come contrastare una tendenza ancora più problematica quando riguarda le famiglie con figli pare interessi a pochi, anzi pochissimi. Per bambini e bambine le vacanze estive rappresentano un momento di svago, in cui dare concretezza al diritto al gioco e al tempo libero riconosciuto dalla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia. Accanto allo svago, le vacanze rappresentano anche la possibilità di condividere esperienze con la propria famiglia e un’opportunità formativa unica nei mesi di sospensione del percorso scolastico. Aspetti ancora più importanti in seguito all’emergenza Covid, per il suo impatto sulla socialità e sui livelli educativi di ragazze e ragazzi. 

Non casualmente, uno degli aspetti che ragazze e ragazzi hanno indicato come più problematici durante la pandemia è stato proprio l’impossibilità di viaggiare. In una recente indagine Istat, oltre la metà degli alunni delle scuole secondarie lo ha segnalato come la maggiore criticità. Si tratta dell’attività citata più spesso, anche prima della libertà di uscire (49%) e della frequentazione di feste, cene e aperitivi con gli amici (48%).

Candidati e partiti, volete almeno provarci ad affrontare questo grave problema o siamo tornati all’800 quando i poveri, ai quali spesso si faceva riferimento con termini come “gli umili”, non erano un gruppo sociale chiaramente identificato o identificabile per il cui consenso valesse la pena lottare? Al massimo essi erano oggetto di forme di carità improntate al paternalismo. Siamo tornati lì?

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