Un recente lancio ANSA ha reso noto che «secondo le stime della struttura commissariale per l’emergenza Covid, l’esercito di operatori ‘no vax’ conterebbe oltre 45mila professionisti», per l’esattezza 45.753 professionisti, pari al 2,36% della categoria dei sanitari; di questi, i medici sarebbero lo 0,2%; e che i soggetti preposti al controllo sono in procinto di avviare le “sanzioni” previste dal decreto legge n. 44, entrato in vigore il 1° aprile 2021 e convertito con legge n. 76 del 2021.



Tale norma ha introdotto l’obbligo per il personale sanitario di «sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2»; e ha previsto che tale vaccinazione «costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati».



In altri termini, per i medici, gli infermieri, gli OSS, i veterinari che non provvedono alla vaccinazione, a seguito di una certa procedura che coinvolge le regioni e le aziende sanitarie locali, scatta «la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali». Ai subordinati, potrebbe essere offerta la possibilità di svolgere mansioni che non implicano contatti interpersonali o, in caso di impossibilità, saranno sospesi dal lavoro senza diritto alla retribuzione. Parallelamente, i singoli ordini o albi di appartenenza potranno avviare procedure disciplinari a carico dei renitenti.



Si tratta di una forma di coazione particolarmente afflittiva, che pone domande sulla legittimità dell’obbligo imposto e (conseguentemente) delle sanzioni che ne assistono l’osservanza. Si ricorda che nel caso in cui si dovesse incorrere nella sospensione, l’alternativa potrebbe essere solo quella di impugnare il provvedimento davanti al giudice amministrativo (se lavoratori autonomi) o al giudice del lavoro del lavoro (se subordinati), al limite sollecitando il vaglio di legittimità costituzionale delle norme che introducono l’obbligo vaccinale.

Nel risolvere tale quesito, può soccorrere la lettura di tre sentenze, i cui contenuti sommariamente si riportano.

La prima è una sentenza della Corte costituzionale, della quale è stata relatrice l’attuale ministro della giustizia prof. Cartabia: con sentenza n. 5 del 2018, la Corte riconobbe – a talune condizioni – la legittimità di una norma statale che imponga un obbligo vaccinale, perché la «libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie» è valore deteriore rispetto a «la tutela della salute individuale e collettiva».

A conclusione simili è approdata la recentissima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, Gran Camera n. 116/2021 dell’8 aprile 2021 (VAVŘIČKA AND OTHERS v. THE CZECH REPUBLIC), che opponeva alcuni cittadini al governo ceco relativamente ad una legge con il quale tale Stato imponeva alcuni obblighi vaccinali. Anche in tale caso, la CEDU ha dichiarato essere compatibili con le norme europee gli obblighi vaccinali purché:

– siano sorretti da “a pressing social need to protect individual and public health”, necessità che a ben vedere si è resa ancora più urgente nell’attuale quadro sanitario mondiale;

– siano assistiti da “safeguards e necessary precautions”, quali possono essere informative, ricorribilità giudiziale, misure di indennizzo, ecc.;

– si tratti di “measures proportionate to the legitimate aims pursued”; e ancora i recenti obblighi nostrani sembra proporzionati agli scopi perseguiti dalla campagna vaccinale in corso.

La tempestività della sentenza è apparsa ad alcuni persino sospetta, come se la Corte europea abbia voluto dare un caveat a possibili futuri ricorsi contro gli obblighi vaccinali che i Paesi europei hanno introdotto o si apprestano ad introdurre a seguito dell’epidemia in corso.

Da ultimo, il 19 maggio 2021, il tribunale di Modena ha depositato una sentenza di rigetto contro il ricorso di due lavoratrici nel settore sanitario che, a causa del loro rifiuto di vaccinarsi, erano state sospese dalla prestazione e dalla retribuzione dal loro datore di lavoro. Peraltro, tale caso era sorto ben prima dell’entrata in vigore del decreto n. 74, che tale obbligo introduce. Anche in tale occasione, il giudice ha ritenuto legittimo il comportamento del datore, sulla base del fatto che il lavoratore è tenuto a “osservare precisi doveri di cura e sicurezza”, che lo rendono “soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni”, anche alla luce dei canoni costituzionali del diritto alla salute e del diritto alla libertà di intrapresa.

Peraltro, il giudice ha citato – nella sua decisione – anche il decreto legge n. 44 citato in apertura, considerandolo, pur se non applicabile, quale “elemento esegetico utile ai fini della controversia”.

La plausibile conclusione dell’esame condotto è che iniziative giudiziali di resistenza all’obbligo di vaccinazione non troveranno accoglimento.

Sia consentito ora esprimere alcune considerazioni: in verità, la previsione di obbligo vaccinale stride con la coscienza, anche alla luce della scarsa o scarsissima sperimentazione che dei vaccini è stata fatta; le evidenze scientifiche mostrano però una certa efficacia di essi che sembra valere a compensare i rischi potenziali cui ci si potrebbe esporre vaccinandosi. La questione potrebbe essere dunque racchiusa nel conflitto (o – più sfumatamente – nella naturale e sana frizione) tra libertà individuali e libertà collettive; ed è significativo che una quota non indifferente di cittadini senta intollerabile la compressione, anche solo potenziale, di propri interessi a beneficio degli interessi superindividuali.

E questa insofferenza, che a ben vedere si manifesta in tutti i campi e a tutti i livelli, dice qualcosa della società che abbiamo contribuito a creare.

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