Corsa alla vaccinazione, bene (imprevisti a parte, come abbiamo visto proprio recentemente, da parte delle aziende fornitrici), ma chi pensa alle migliaia di clandestini, rilasciati dai centri di accoglienza con un foglio di via e che rimangono nel nostro paese, vivendo in strutture abbandonate, per strada, nei tunnel delle stazioni? Sono gli invisibili, ma che rappresentano un grosso rischio di focolai, di contagio, come ci spiegano Costantina Regazzo, direttore dei servizi di Progetto Arca, e Alberto Sinigallia, presidente dell’associazione che da molti anni si prende cura dei cosiddetti ultimi, i senza fissa dimora con numerose iniziative. Insomma, sono una mina vagante.
Senza contare il legittimo diritto che hanno anche i clandestini di essere vaccinati. “Sono persone che frequentano le mense per i poveri, che girano per strada a chiedere l’elemosina, insomma il pericolo di contagio è assai alto, ma il governo e ogni altra istituzione non ha al momento preso in carico il problema. Noi ci dichiariamo disponibili a mettere a disposizione i nostri volontari, medici e infermieri, per occuparci di questa problematica, chiediamo al governo che ci dia questa possibilità, nell’interesse del bene comune. Da quando è iniziata la pandemia non abbiamo mai smesso di essere presenti sul territorio con le nostre unità mediche e infermieristiche per rilevare le condizioni dei senza fissa dimora e fare i tamponi. Adesso siamo pronti a proseguire con la vaccinazione”.
C’è stata qualche indicazione da parte del governo alle vostre associazioni per quanto riguarda la vaccinazione dei senza fissa dimora?
No, non ci sono state indicazioni. Prima o poi saranno vaccinati anche loro perché hanno tutti delle residenze, anche se sono fittizie, istituite apposta perché abbiano diritto all’assistenza medica. Ma il problema che ci preoccupa è un altro.
Quale?
Riguarda i cosiddetti clandestini che sono fuori da ogni possibilità di vaccinazione, non avendo alcun documento, perché un clandestino a tutti gli effetti non verrà mai intercettato. Si tratta di migliaia di persone che non sono neanche quantificabili, quando uno esce da un centro di accoglienza per i profughi ha una lettera in mano che dice che entro sette giorni deve lasciare l’Italia. In realtà, come sappiamo, nessuno di questi lo fa, li troviamo negli scali ferroviari, nelle dimore abbandonate, e non verranno vaccinati.
Questo è un grave problema, sembra impossibile che le istituzioni non abbiano dato alcuna indicazione al proposito.
Si tratta di fare il bene di queste persone, perché anche loro hanno diritto a essere vaccinati, ma anche della cittadinanza, perché hanno contatti, possono portare in giro il contagio. Nel caos generale in cui stiamo vivendo ci dimentichiamo che esistono anche loro.
Voi come associazione avete contatti con loro?
Sì. Rispetto ai nostri servizi dove sono circa 1.200 le persone accolte, ad esempio, con il Piano freddo, è però facile che si presentino anche persone senza documenti. Sono persone che noi incontriamo per strada a Milano, Roma e Napoli e che trovano riparo nei luoghi più impensabili. Si tratta di garantire anche a loro una assistenza sanitaria come prevede la Costituzione. Queste persone tendono a rendersi invisibili, dovremmo invece farci carico di loro perché gli ultimi rimangono sempre ultimi.
Voi durante la pandemia avete istituito delle unità mobili territoriali che si sono prese cura dei senza fissa dimora, siete dunque in grado dal punto di vista sanitario di occuparvi anche delle vaccinazioni?
Sì, abbiamo personale medico e infermieristico, nel terzo settore c’è la volontà di una partecipazione attiva. Va detto che per partecipare alla campagna vaccinale bisogna fare un percorso di tipo medico. I farmacisti, ad esempio, hanno appena cominciato a occuparsi di vaccinazioni. Noi siamo disponibili a dare il nostro contributo, come abbiamo fatto con i tamponi. Siamo riconosciuti dall’Ats sull’esito del tampone, aspettiamo di sapere se possiamo occuparci noi di vaccinare i clandestini o se dobbiamo portarli da qualche parte.
Non sarà facile affrontarli per ovvi motivi.
No, ci vogliono mediatori culturali, informazione, dir loro dove li portiamo nella massima sicurezza per la loro condizione. Se un clandestino va al pronto soccorso, è preservato nella sua privacy, non viene consegnato alle autorità, stessa cosa bisogna fare con i vaccini.
Non si tratta di fare una retata poliziesca, è così?
No, assolutamente, noi ci rendiamo disponibili per continuare il lavoro fatto finora, il cui prosieguo è la vaccinazione. E’ un servizio per il bene comune, bisogna che questo sia chiaro.
(Paolo Vites)
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