“I vaccini contro il Covid-19 non produrranno varianti peggiori”. Così Derek Lowe ha scardinato una delle teorie secondo cui, per evitare le mutazioni dei virus, le campagne di vaccinazioni non dovrebbero avere inizio mentre quest’ultimo è ancora in circolazione. L’esperto chimico, che lavora alla scoperta di farmaci proclitici nell’industria farmaceutica, ne ha parlato all’interno di un articolo pubblicato sul suo blog In the Pipeline, ospitato su Science Translational Medicine.
La vaccinazione è controproducente o no? Il dottor Lowe ha provato a rispondere al quesito facendo riferimento a quanto accaduto nei mesi scorsi. Il mondo, attualmente, sta facendo i conti con la variante Delta, che appare peggiore delle precedenti. Essa, tuttavia, non è in alcun modo la causa della somministrazione dei sieri, dato che la sua prima apparizione è stata registrata in India a ottobre scorso, ovvero quando la campagna non aveva ancora avuto inizio.
“Vaccini anti-Covid non produrranno varianti peggiori”: la verità
Derek Lowe sembrerebbe dunque certo del fatto che i vaccini contro il Covid-19 non produrranno varianti peggiori, o per lo meno del fatto che ciò non è ancora accaduto. Dietro alle teorie secondo cui ciò era stato previsto, tuttavia, c’è un fondo di verità.
“È certamente vero che se si vuole indurre mutazioni resistenti a qualche farmaco antivirale in laboratorio, è sufficiente lasciare che il virus infetti le cellule in coltura mentre le si tratta con quantità non del tutto adeguate del farmaco proposto. Successivamente le si passa in colture cellulari fresche, spesso aumentando la quantità di antivirale lungo il percorso, con l’idea che le particelle virali che stanno infettando ogni nuova popolazione di cellule siano quelle che hanno superato gli effetti del farmaco”, ha spiegato l’esperto. In questo modo, tramite un processo che può durare settimane o addirittura mesi, potrebbe svilupparsi una mutazione del virus capace di resistere al farmaco.
“Vaccini anti-Covid non produrranno varianti peggiori”: l’efficacia dei sieri
Se, da un lato, dunque, è vero che ciò è teoricamente possibile, dall’altro lato la buona notizia è che i vaccini contro il Covid-19 sono stati prodotti tenendo a mente questo fenomeno e dunque presumibilmente non produrranno varianti peggiori. In fase di sperimentazione, infatti, la scelta dei farmaci ricade su quelli che sono maggiormente inclini alla resistenza di fronte al virus e alle sue eventuali mutazioni.
“Nel caso della maggior parte dei vaccini ora disponibili gli anticorpi attaccano la proteina Spike del coronavirus. Questi anticorpi possono legarsi così completamente e saldamente alle particelle virali che la loro proteina Spike non è più in grado di funzionare. Gli anticorpi legati a un agente patogeno come questo attivano anche altre cellule immunitarie per attaccare e eliminare l’intero complesso anticorpo/bersaglio”, si legge nell’articolo di Derek Lowe. “E oltre gli anticorpi, c’è l’intero sistema delle cellule T: quelle cellule T che cercano di riconoscere le cellule umane che sono state attaccate dal virus e che poi si spostano per ucciderle prima che possano rilasciare altre particelle virali”. Il virus, per eludere gli attacchi del sistema immunitario, dovrebbe dunque mutare le proteine in modo che esse possano ancora funzionare. Non è un processo semplice né immediato, dato che con il vaccino viene coinvolto un numero enorme di diversi anticorpi.