Come recita Shakespeare nell’Amleto, “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”. Anche la scienza dovrebbe ricordarlo e non costruire dogmi che si infrangono.

Così è stato per il famoso “dogma centrale della biologia molecolare “enunciato da Crick nel 1957, secondo cui le informazioni genetiche potevano avere una sola direzione, ovvero da Dna a Rna a proteine. Questo dogma è stato demolito nel 1969 grazie agli studi di Temin, Hubner e Todaro, che dimostrarono, per la prima volta, l’esistenza di una “Dna polimerasi Rna dipendente”, poi chiamata trascrittasi inversa, capace cioè di stampare al contrario: Dna a partire da Rna (come accade per molti retrovirus come il famoso Hiv).



Dopo questa scoperta, per molto tempo si è cercato di capire se oltre ai virus anche cellule animali di mammifero avessero questo tipo di enzimi e nell’ultimo decennio gli studi sono stati rivolti alle polimerasi cellulari, che intervengono nei fenomeni di riparazione di Dna (tra queste la polimerasi teta, Pol-teta).



Ora un passo importante viene dalla ricerca della Thomas Jefferson University di Filadelfia (Usa) su questa polimerasi, già riconosciuta da tempo essere un enzima in grado di promuovere la riparazione del Dna in cellule di mammifero. L’importante novità del gruppo statunitense è la conferma che Pol-teta ha la capacità di retro-trascrivere in Dna messaggi di Rna.

Questa osservazione potrà avere grande utilità per orientare la ricerca in campo oncologico, perché è noto che la perdita selettiva delle vie di riparazione del Dna è un evento precoce e frequente nella genesi tumorale che può fornire un vantaggio selettivo, a causa di una maggiore instabilità genetica. Per questo i processi di riparazione del Dna possono diventare un “tallone d’Achille” per rendere più efficace l’azione antitumorale di vecchi e nuovi farmaci.



Se questa ricerca apre nuove frontiere di esplorazione, suscita anche qualche interrogativo sia riguardo le infezioni da Covid che i vaccini a Rna (tralasciamo per ora le considerazioni sui vaccini a base virale). Da una parte, interessanti recenti ricerche del Massachusetts Institute of Technology (Usa) su pazienti guariti da Sars-CoV-2, ma positivi ai test molecolari anche per molte settimane dopo l’infezione, hanno evidenziato che il virus può essere retro-trascritto e integrato in cellule infettate, per poi essere espresso in forma chimerica nei tessuti del paziente. Sebbene il campo sia tutto da indagare, ciò fa supporre meccanismi endogeni coinvolti quindi nella trascrizione inversa e integrazione.

Sul fronte vaccini a Rna messaggero sappiamo che essi dovrebbero avere un buon grado di sicurezza, perché svolgono l’unica funzione di trasferire alle nostre cellule informazioni per produrre proteine virali che a loro volta sono in grado di stimolare una risposta immunitaria utile a difenderci dall’attacco del virus.

Questi nuovi vaccini hanno alle spalle oltre un decennio di studi, ma occorre ricordare che sono stati approvati in condizione di “Emergency Use Authorization (EUA)”, che ha consentito alle agenzie regolatrici di ridurre i tempi per le procedure, che in situazione normale avrebbero richiesto anni. Nei tempi in cui sono stati eseguiti tutti i test di sicurezza sono state considerate tutte le reazioni avverse a breve termine, che hanno permesso l’autorizzazione alla vaccinazione di massa. Senza alcuna esagerazione, occorre riconoscere che questo evento rappresenta di fatto una sperimentazione su scala mondiale unica nella storia per dimensione. Dopo centinaia di milioni di trattamenti i dati a breve termine sembrano confermare una percentuale di reazioni (sia gravi che mortali) in linea con le previsioni e la farmacovigilanza in atto sembra garantire un corretto monitoraggio.

Non appare, comunque, irrazionale e ideologico tenere aperte e considerare seriamente le domande circa gli effetti collaterali possibili a lungo termine, che rendono necessaria una sorveglianza dei potenziali rischi anche di questo tipo di vaccino con particolare riferimento a risposte infiammatorie sistemiche e al possibile rischio di sviluppo di reazioni autoimmuni. Infatti, i meccanismi di riparazione Rna-Dna sopra descritti sono stati dimostrati in cellule di lievito ingegnerizzate, ma rimangono ancora poco chiariti in cellule di mammifero.

Inoltre non è ancora dimostrato se e quanto enzima Pol-teta sia espresso in cellule di tessuti normali umani e quasi nulla si conosce circa la sua eventuale potenziale capacità di intercettare anche Rma messaggeri che potrebbero essere retrotrascritti e integrati nel Dna genomico.

Sulla base dei meccanismi finora conosciuti gli studiosi ipotizzano un basso rischio, ma una scienza “non dogmatica” non può e non deve escludere nessuna ipotesi a priori. Chi ha il compito di valutare una qualsiasi forma di trattamento di profilassi o terapia deve seriamente pesare il rischio e il beneficio (che oggi è ovviamente a favore del vaccino) e mantenere altissimo il monitoraggio soprattutto epidemiologico e clinico per capire in tempo quali siano i rischi e suggerire criteri suffragati da dati il più possibile solidi e trasparenti.

La politica deve assumersi la responsabilità di scelte normative che devono tenere conto del dato scientifico, ma essere equilibrate nella forma e comunicate con adeguate ragioni e non come dogmi.

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