Vaccini, lockdown, cure a domicilio, idrossiclorochina, ivermectina. Sono tanti i temi che il professor Pietro Luigi Garavelli, primario della Divisione di Malattie Infettive dell’ospedale Maggiore della Carità di Novara ha affrontato ai microfoni di “Affaritaliani.it”, analizzando a tutto tondo il delicato momento pandemico che l’Italia sta attraversando e l’efficacia delle contromisure adottate sino a questo momento dai due Governi (prima il Conte bis, poi l’esecutivo Draghi) che si sono succeduti sulla tolda di comando del Belpaese.



Partendo dalla stringente attualità, Garavelli si dice un sostenitore della campagna vaccinale, ma “se il vaccino servisse a debellare il virus, sarei pronto anche ad accettare una percentuale di eventi avversi. Il punto è che come lo si sta facendo non ha speranza di essere risolutivo”. Una riflessione che si estende al lockdown: “Si tratta di una misura di isolamento che serve per patologie da contatto, come l’ebola. Allo stato attuale delle cose, quando il virus è ormai endemico, un lockdown funzionerebbe se ad esempio avvenisse nello stesso lasso temporale in tutto il mondo e si vaccinassero contestualmente le persone con un vaccino risolutivo. Questo virus è un patogeno nuovo, che deve trovare la sua collocazione nell’ambiente umano, muta costantemente, ma non ha ancora ridotto la sua virulenza, ci vorranno forse anni. In pratica, dobbiamo conviverci, rispettare le misure prudenziali e, oserei dire, curare a casa”.



GARAVELLI: “IL VIRUS È DIVENTATO ENDEMICO”

Lockdown e vaccini andrebbero dunque pianificati in maniera più dettagliata e accorta, a giudizio del professor Garavelli, il quale, sempre sulle colonne di “Affaritaliani.it”, spiega il significato del termine “endemico”. “Ormai Covid-19 è presente nella popolazione tutto l’anno. I portatori sani sono milioni di italiani, per cui assistiamo a brevi ondate epidemiche a scadenza di mesi le une dalle altre, come è normale che avvenga. E come è normale, muta. Quanto alle varianti, chi cerca trova! Quante migliaia ce ne saranno in questo momento? Non lo sappiamo! Ricordiamoci che è un virus Rna, simile all’HIV, quindi – sotto pressione della nostra risposta immunitaria e dei vaccini – scappa e muta per sopravvivere”. Tuttavia, Garavelli non è soltanto un esperto della materia, ma ha anche contribuito a curare a casa centinaia di malati Covid, con risultati soddisfacenti e con una terapia che, oltre a eparina e cortisone, prevede l’utilizzo della tanto discussa idrossiclorochina: “Qui a Novara l’abbiamo usata con successo. All’inizio la davamo a tutti, poi abbiamo raddrizzato il tiro vedendo che funzionava nelle fasi precoci della malattia. Il mio gruppo di lavoro non attende nemmeno l’esito del tampone, perché si perde tempo prezioso: ai primi sintomi diamo Plaquenil, monitorando l’andamento della patologia e la saturazione e proseguiamo per sei, dodici giorni. Poi, aggiungiamo eparina e cortisone. Si può utilizzare anche azitromicina, ma per me è meno rilevante. I risultati? Meno del 10% dei ricoveri con le persone trattate precocemente”.

GARAVELLI: “IDROSSICLOROCHINA OK, STUDI SU IVERMECTINA”

L’idrossiclorochina sarebbe pertanto, a giudizio del professor Garavelli, la terapia ideale per contrastare l’infezione sin dai suoi esordi: “Decine di italiani si stanno rivolgendo a me e ai miei collaboratori di Novara, chiedendo lumi sulle cure domiciliari precoci. La gente sta lentamente prendendo coscienza che il Coronavirus si può curare con successo se precocemente trattato”. In tempi non sospetti, poi, si è dibattuto a lungo sull’ivermectina, sul cui impiego il primario pare essersi già fatto un’idea: “Ho avuto di recente un confronto con colleghi sudamericani. Loro la usano al posto di idrossiclorochina ma a dosaggi molto più elevanti di quanto facciamo noi. L’ivermectina in Italia è utilizzata solo dai veterinari, per sverminare i cani. Questo farmaco viene usato negli umani per quattro patologie: scabbia norvegese, filariasi, strongiloidiosi disseminata e oncocerchiasi (cecità dei fiumi). So che è appena terminato uno studio sperimentale supportato da Aifa all’ospedale Sacro Cuore di Negrar di Valpolicella con ivermectina: ma, anche qui, fondamentale è l’utilizzo nelle prime fasi della malattia”.