“La scienza si nutre di discussione su argomenti scientifici, basati sui dati, e noi questo chiediamo. La scienza non si nutre di dogmi, che sono il contrario della scienza. Il Cts dovrà rispondere alla nostra richiesta e dovrà farlo in fretta, altrimenti si assumerà delle responsabilità più gravi”.

Alberto Donzelli, medico, membro del Consiglio direttivo e coordinatore scientifico della fondazione Allineare sanità e salute, illustra così l’iniziativa di attivare con urgenza un Tavolo di confronto scientifico “alla pari, senza pregiudizi” sulle strategie anti-Covid.



Ad avanzare la richiesta è una Commissione medico scientifica (Cms) indipendente, di cui Donzelli fa parte assieme ai professori Paolo Bellavite, Marco Cosentino, Vanni Frajese e ai dottori Patrizia Gentilini ed Eugenio Serravalle.

Come nasce questa iniziativa?

Una premessa è doverosa: finora non avevo mai rilasciato interviste sulla partita delle vaccinazioni, pur essendo intervenuto su altri temi che ruotano attorno alle strategie anti-Covid, fedele a una richiesta degli Ordini dei medici che non vogliono che i sanitari parlino pubblicamente esprimendo dubbi o critiche alle strategie vaccinali adottate, se non all’interno della categoria,



Perché allora vi siete decisi a compiere questo passo?

Da tempo la Rete Sostenibilità e Salute, cui afferiscono alcune nostre organizzazioni, aveva chiesto alle istituzioni, ai vertici di ministero della Salute, Aifa, Iss e Cts un confronto su temi legati alle politiche vaccinali, ma non ci è mai stata data risposta. Abbiamo allora deciso di fare questo appello pubblico, vista la forte accelerazione impressa nelle ultime settimane a una vaccinazione con provvedimenti sempre più pesanti.

Avevate fissato anche una scadenza per questo confronto?

Sì, era il 26 novembre scorso. Ma non consideriamo chiuso l’appello, anzi siamo sempre più che disponibili a partecipare al tavolo tecnico che venisse attivato.



Voi chiedete di esaminare 5 temi chiave. Ce li può riassumere brevemente?

In lista avremmo anche tanti altri argomenti da approfondire, ma quelli individuati sono cinque temi che riteniamo prioritari: 1) andamenti della mortalità totale 2021 rispetto al 2020 e precedenti; 2) vaccini anti-Sars-CoV-2 e prevenzione dell’infezione; 3) (in)opportunità della vaccinazione in età pediatrica; 4) bambini e adulti non vaccinati (contro vaccinati) e rischi relativi di infezione per la comunità; 5) sorveglianza attiva contro sorveglianza passiva e nesso di causalità nella stima degli eventi e delle reazioni avverse da vaccino.

L’obiettivo?

Le conclusioni cui siamo giunti su questi temi e che vorremmo mettere con urgenza in discussione dovrebbero comportare l’immediata cessazione della spinta a vaccinare i bambini dai 5 agli 11 anni e anche, salvo eccezioni per alcuni portatori di particolari patologie, la vaccinazione di chi ancora non ha ricevuto il vaccino. A muoverci non sono considerazioni primarie di libertà di scelta delle cure o per non essere soggetti a un obbligo in linea di principio, ma sono considerazioni di sanità pubblica.

Quali?

E’ più vantaggioso per la salute della comunità andare avanti non con una vaccinazione universale, ma con una vaccinazione mirata. Oggi più di prima. Abbiamo prima sostenuto che non c’era motivo di vaccinare al di sotto dei 50 anni, visto che nel 2020 e fino ad aprile 2021, quando sono stati diffusi i primi dati Istat, la coorte degli 0-49 anni nel periodo della pandemia registrava tanti morti in meno rispetto alle medie del quinquennio di riferimento 2015-2019. È stato negli over50, e soprattutto con l’ulteriore progredire dell’età, che si sono contati molti decessi in più. Perché allora, dopo aver messo in sicurezza gli anziani, “spremere” persone che nell’insieme non avevano affatto peggiorato la loro aspettativa di vita?

Finora avete approfondito il tema della mortalità e delle cure. Partiamo dalla prima: che cosa avete scoperto?

C’è una sfasatura specifica tra mortalità da Covid e mortalità totale. Osservando la rete EuroMomo, che aggrega i dati settimanali di mortalità generale segnalati da molti paesi Ue e Israele, confrontandoli rispetto a una linea di base, nel 2020 nelle età più giovani c’è stata una riduzione della mortalità rispetto agli anni 2015-2019, mentre si è registrato un forte eccesso di mortalità nei 50enni e oltre.

E nel 2021 rispetto al 2020?

Ci si aspettava che con le vaccinazioni si notasse una riduzione di questo eccesso di mortalità. Purtroppo non è così: a livello europeo c’è un ulteriore eccesso di mortalità fino ai 74 anni.

Anche in Italia?

Fra i giovani osserviamo un’inversione di tendenza, con un rialzo della mortalità rispetto al 2020 e anni precedenti. Sono ancora numeri relativamente limitati, ma l’effetto si vede. E c’è un eccesso di mortalità in tutte le età, se si scorpora l’eccesso di morti della Regione Lombardia, che aveva registrato picchi drammatici in varie province, nei mesi di marzo e aprile 2020. Qualcosa non torna. Non diciamo certo che dipende dal vaccino, ma davanti a un fatto così grave e contrario alle aspettative, bisognerebbe “fermare le bocce”, studiare a fondo, aprire un dibattito, non spingere alla vaccinazione in modo forsennato quei soggetti, specialmente giovani e bambini, senza avere prove adeguate di portare a loro un vantaggio netto.

Esistono farmaci efficaci e di basso costo per il trattamento precoce della Covid?

Sì, vi abbiamo dedicato un evento lo scorso 20 ottobre. E si tratta di farmaci scelti e inseriti con criteri espliciti. Innanzitutto, devono essere prodotti o principi attivi di efficacia ragionevole o molto promettente in base a studi di alta validità (randomizzati controllati – Rct) favorevoli, integrati da studi osservazionali altrettanto favorevoli e coerenti. Non solo: devono essere sostanze assolutamente sicure, accessibili ed economiche, cioè con un costo/opportunità estremamente favorevole per la società; devono essere biologicamente plausibili, ossia avere una base razionale per capire perché questi farmaci potrebbero funzionare; e i ricercatori non devono avere conflitti d’interesse importanti né devono esserci alle spalle mega-sponsor commerciali che abbiano sostenuto questi studi.

Quali farmaci rispondono a tutte queste caratteristiche?

Misurando in ordine decrescente l’efficacia, dimostrata nei trial randomizzati, nell’abbassare la mortalità, che è l’esito più temuto e meno manipolabile, li abbiamo inseriti in una tabella. Lo iodopovidone ha ridotto dell’88% la mortalità in un Rct di buona qualità: diluito all’1% in acqua (il prodotto commerciale, spesso al 10%, va diluito altre 10 volte con acqua), con 2 gocce per occhio e 4 per narice ogni 4 ore e uno sciacquo con gargarismo in gola, sputando poi tutto, non c’è germe che gli resista, non solo il Sars-Cov-2. E’ un rimedio potenzialmente universale. Poi, a scalare, troviamo altre sostanze che fanno parte di alimenti, quindi da non considerare solo sotto forma di integratori, come la nigella sativa, cioè il cumino nero, la melatonina, la curcumina con una piccola aggiunta di piperina, l’ivermectina, la fluvoxamina, che è un antidepressivo da assumere per 10 giorni, la quercetina, il budesonide inalatorio. Alcune sono soggette a prescrizione e andrebbero assunte rispettando alla lettera le dosi utilizzate nei trial.

Sono cure fai-da-te?

Attenzione: io non dico a nessuno che si “deve fare così, non voglio scavalcare nessuno”. Visto che la letteratura mostra risultati estremamente interessanti e favorevoli, è giusto che i medici curanti ne siano informati. Poi, d’intesa con il proprio medico curante, ciascuno farà la scelta ritenuta più opportuna.

Ci sono cure sbagliate e iatrogene in relazione al Covid-19?

Non ci sono cure sbagliate, ma non si può più continuare a tacere su terapie inappropriate in fase precoce della malattia. In primo luogo, pur non essendo raccomandato ma solo ammesso dalle linee guide del ministero, è il protocollo che prevede vigile attesa e, in caso di febbre, il ricorso al paracetamolo. La vigile attesa, se un soggetto è asintomatico, va bene, magari con l’aiuto di alimenti e uno stile di vita più salutari, che aiutano a difendersi dalle malattie infettive. Il paracetamolo invece non andrebbe utilizzato, è spesso controproducente.

Perché?

La febbre non va combattuta, se non in particolari circostanze. E’ un’arma di difesa per qualsiasi organismo, perché il calore di per sé contrasta una serie di germi ed è in grado di attivare tutta una serie di difese, oltre all’azione specifica anti-virale. Non c’è nessun virus, per quanto virulento, che può moltiplicarsi quando la temperatura corporea arriva a 39°C.

Noi facciamo il contrario?

Arrivati a 39°C, anziché sopportare questa febbre per un po’, ci affrettiamo ad abbassarla sotto i tacchi. E’ come se a uno che stia cercando di parare i colpi violenti inferti da una banda di teppisti nell’ombra, noi gli mettessimo la camicia di forza, perché lo vediamo sudato e sofferente.

Altre scelte errate?

Nelle persone anziane non è utile abbassare in modo eccessivo il colesterolo LDL, cioè il colesterolo “cattivo”: è vero che così si abbassa il rischio di infarto, ma si alza ad esempio quello di sepsi e di malattie infettive, ben sapendo quanto le polmoniti siano un fattore di rischio molto elevato più l’età avanza.

Secondo lei, è necessario aggiornare linee guida e indicazioni operative sulle terapie domiciliari anti-Covid?

Le linee guida danno indicazioni che in massima parte condivido per la fase avanzata della malattia, supportate da ricerche solide. Il problema è legato alle fasi precoci, che poi riguardano la stragrande maggioranza della popolazione, perché chi sviluppa forme importanti è una minoranza e chi peggiora nelle forme più severe è una minoranza della minoranza. Non si dovrebbe dire semplicemente “aspettate, misurate la saturimetria, poi vedete, se scende troppo, andate in ospedale e prendete il cortisonico”. Mi sembra una politica assolutamente rinunciataria rispetto a soluzioni che da più di un anno si sono dimostrate utili e possono essere messe in campo.

La lotta al Covid, quindi, si può vincere non solo con il vaccino?

I nostri cinque capisaldi sulle strategie a contrasto del Covid prevedono, certo, le vaccinazioni, mirate e non universali. I vaccini hanno un ruolo importante, ma pensiamo che si sia andati oltre quello che riteniamo razionale per contrastare la pandemia.

E gli altri capisaldi cosa prevedono?

Al primo posto, la prevenzione primaria ambientale per tutti, che significa no a deforestazioni, a perdita di biodiversità, ad allevamenti intensivi, a politiche energetiche basate sui combustibili fossili, con un’importante riduzione dell’inquinamento atmosferico, che aumenta il rischio di infezione e di gravità della Covid. Al secondo posto, la prevenzione primaria comportamentale evidence-based incentrata su sani stili di vita per tutti – attività fisica, no al fumo, alimentazione salutare, buone relazioni umane… – in grado di ridurre i rischi di malattie croniche, di infezioni, e anche rischi specifici di Covid-19. Al terzo posto, appunto, i vaccini. E agli ultimi due posti le cose di cui abbiamo parlato finora: contrastare cure sbagliate e iatrogene e promuovere cure appropriate sicure e sostenibili.

A proposito di comportamenti, mascherine e distanziamento sono sempre utili?

Il distanziamento sicuramente sì. Le mascherine sono un’arma a doppio taglio, hanno una doppia valenza che non è mai stata spiegata per bene.

Che cosa intende?

Se un soggetto è vicino a una persona che emette goccioline o aerosol infetto, è chiaro che la mascherina lo aiuta a ridurre l’esposizione. Se invece è lui stesso che sta avendo una moltiplicazione del virus nei propri polmoni, sbaglia a indossare sempre la mascherina, che fa da barriera al respiro, continuando così a far re-inalare una parte dei propri germi che sta emettendo con l’espirazione, un meccanismo difensivo grazie al quale non solo si eliminano le scorie di anidride carbonica, ma anche parte dei germi in via di moltiplicazione. La mascherina va indossata solo quando si interagisce con altri soggetti, in particolare al chiuso, mentre all’aperto, dove è immediata la diluizione dell’aerosol espirato da soggetti eventualmente infetti, la mascherina serve essenzialmente in assembramenti statici. I soggetti sintomatici, poi, la dovrebbero indossare solo nelle interazioni con chi li assiste, ma per il resto del tempo restare isolati senza mascherina, in locali arieggiati.

Avete raccolto dei dati sulla pandemia? E che cosa dicono?

Non c’è dubbio che le vaccinazioni proteggono dalla mortalità da Covid e dalla malattia in forma severa per un numero rilevante di mesi, anche se le dimensioni di questa protezione sono per diversi motivi sovrastimate nella narrazione che ne viene fatta. Da un lato, perché gli eventi avversi che insorgono nei primi 14 giorni dopo l’inoculazione sono messi a carico dei “non vaccinati”; dall’altro, perché gran parte dei soggetti che hanno superato l’infezione e hanno per questo una protezione molto alta, sono poi stati vaccinati e conteggiati come vaccinati, ma i loro eccellenti risultati non sono solo o soprattutto merito dei vaccini, bensì proprio del superamento dell’infezione naturale.

(Marco Biscella)

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