In nessuna nazione al mondo vige l’obbligo della vaccinazione anti Covid, ma non mancano quelle in cui si comincia a prendere in considerazione l’ipotesi di introdurlo. Un tema delicato, ancor più se si prendono in considerazione i minori. Ma come variano le politiche di vaccinazione infantile nel mondo per quanto riguarda gli altri sieri? A fornire una risposta esaustiva Tatjana Marks e Samantha Vanderslott, dell’Oxford Vaccine Group e Oxford Martin School, University of Oxford, Centre for Clinical Vaccinology and Tropical Medicine (CCVTM). Nell’analisi pubblicata su Our World in Data, dunque, hanno preso in esame le politiche sui vaccini infantili, quelli cioè che proteggono da morbillo, parotite, rosolia, difterite, tetano, pertosse, polio, rabbia, epatite B, rotavirus, haemophilus influenzae tipo B, e tubercolosi, alcuni dei quali sono somministrati in maniera combinata. Hanno quindi evidenziato che in Europa c’è una situazione variegata per quanto riguarda obblighi e raccomandazioni.
Ma nella maggior parte dei paesi, 16 su 28, non c’è affatto la vaccinazione obbligatoria. Uno dei motivi per i quali si preferisce raccomandare i vaccini, anziché imporli, è per il rifiuto e le resistenze che solitamente suscita l’obbligo. Invece i paesi dell’ex-URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) o sotto l’influenza del blocco orientale hanno mantenuto l’obbligo anche nell’era post-URSS.
Vaccini e obbligo minori: come variano le decisioni
La situazione nelle Americhe è diversa rispetto all’Europa. La maggior parte dei paesi hanno infatti l’obbligo vaccinale: sono ben 29 su 35. Negli Stati Uniti, però, è regolata dai singoli stati, ma è obbligatoria per l’ingresso a scuola. In Canada, invece, solo tre province hanno imposto l’obbligo per i bambini che si iscrivono a scuola. La situazione nel Pacifico occidentale è diversificata. Ci sono alcuni paesi come Singapore che si sono spostati verso le vaccinazioni obbligatorie, invece in Corea del Sud si è passati dal 1999 alle raccomandazioni. Altrove invece c’è “ambiguità”. Tatjana Marks e Samantha Vanderslott evidenziano, ad esempio, che in Cina non ci sono leggi specifiche che rendono i vaccini obbligatori, anche se in letteratura non mancano riferimenti a ciò. Sui paesi africani, invece, è complesso trarre informazioni, ma quelle emerse evidenziano che vi è l’obbligo di vaccinazione. Per quanto riguarda la regione del Mediterraneo orientale, nella maggior parte dei casi i vaccini infantili sono obbligatori. Fa eccezione Israele che li raccomanda solamente in virtù del programma delineato dal National Immunization Technical Advisory Group. Nel sud-est asiatico c’è l’India che ha politiche variabili a livello statale per quanto riguarda l’obbligo vaccinale. Ci sono poi paesi che hanno politiche a livello sub-statale, come nel caso del Canada e dell’India, appunto, ma anche dell’Australia.
“Cautela su vaccinazione obbligatoria”
Dalla loro analisi Tatjana Marks e Samantha Vanderslott hanno appreso che un fattore importante nell’introduzione della vaccinazione obbligatoria, soprattutto nei casi ricchi europei, è il verificarsi di focolai. È accaduto in Germania con il morbillo nel 2020, era successo in Serbia per lo stesso motivo nel 2014. Nei paesi invece a basso-medio reddito si ricorre all’obbligo quando mancano altre opzioni politiche. Eppure in alcuni casi non vengono comunque raggiunti gli obiettivi a causa di problemi di fornitura, consegna e accesso al vaccino. Questi sono i casi, ad esempio, di Guyana e Nigeria. Tatjana Marks e Samantha Vanderslott hanno quindi concluso su Our World in Data che in passato le epidemie hanno portato all’introduzione della vaccinazione obbligatoria anche laddove vi erano raccomandazioni. È evidente, però, che ciò non basta se non vi è accesso e disponibilità di vaccini. Inoltre, bisogna valutare come introdurre l’obbligo, se le persone intendono rispettarlo e l’impatto che ha una decisione di questo tipo. «In sintesi, la vaccinazione obbligatoria deve essere considerata con cautela», osservano le autrici.
Vaccini e Covid: come si è evoluta la situazione
Sono fortunatamente passati moltissimi mesi da quel tragico marzo 2020, quando tutto il mondo assistette all’esplosione dell’emergenza epidemiologica legata al covid-19. Quell’esperienza, per chi l’ha vissuta, rimarrà purtroppo indelebile per sempre nella memoria. Ci si ricorderà infatti che, ogni giorno, i telegiornali davano la notizia di un numero sempre crescente di contagi e di decessi, soprattutto per coloro la cui salute era già cagionata da altre patologie, sia pur lievi. L’uscire di casa era vietato se non per motivi estremamente necessari (come ad esempio fare la spesa) e non era possibile vedere amici, né parenti. Dopo un breve ritorno alla normalità nei mesi estivi poi, la ricaduta ad ottobre, con nuovi limiti e nuovi vincoli. Questa volta però, si era decisamente più preparati e il risalire la china è stato decisamente più rapido. Si è assistito finalmente alla riapertura dei ristoranti, sia di giorno che di sera e vedere i propri amici o parenti è ora permesso. Ora, giugno 2021, la situazione sembra essere in netto miglioramento e in altre nazioni come l’Inghilterra, si è assistiti alla riapertura dei concerti all’aperto senza nessuna limitazione. Il peggio è dunque passato davvero questa volta?