Nel giorno in cui più di 5 milioni di studenti italiani, causa introduzione di zone rosse o arancione rafforzato, sono tornati alla Didattica a distanza, in Lombardia è iniziata la campagna vaccinale del personale scolastico (e domani scatterà per le scuole paritarie), che andrà avanti fino al 30 aprile e coinvolgerà oltre 200mila persone che riceveranno il vaccino AstraZeneca. Nel resto d’Italia, seguendo un calendario e un ritmo di somministrazioni assai variegato (in Campania già vaccinati 66.572 soggetti, in Liguria solo 156 e in Calabria 189), le vaccinazioni di personale docente e non docente sono iniziate tra la metà di febbraio e la prima settimana di marzo, dopo la pubblicazione, in data 8 febbraio 2021, da parte del ministero della Salute delle “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-Sars-CoV-2/Covid-19”, il documento che integra il Piano strategico dell’Italia adottato con il Dm del 2 gennaio 2021 e che consente di avviare “in parallelo a quella dei soggetti prioritari della prima fase (con i vaccini a mRna), la vaccinazione dei soggetti di età tra i 18 e 55 anni con il vaccino AstraZeneca, a partire dal personale scolastico e universitario docente e non docente”. A queste Raccomandazioni si sono poi rifatti le strutture sanitarie e gli Uffici scolastici regionali per predisporre i singoli piani a livello territoriale.
A tutt’oggi, in linea con il trend nazionale, la campagna vaccinale anti-Covid del personale scolastico sta procedendo a macchia di leopardo e non molto speditamente: sono infatti 390.607 le “unità di personale scolastico” a cui è stato somministrato l’antidoto, poco più del 30% di tutta la popolazione di lavoratori della scuola (che, in base al piano vaccinale, ammontano a 1.107.174 soggetti).
Essendo materia di competenza regionale, ogni Regione si è mossa per conto proprio già in fase di allestimento delle procedure di prenotazione: in Abruzzo, per esempio, erano differenziate per personale docente e non docente, in Basilicata e in Calabria la chiamata era diretta da Asl o personale sanitario, in Emilia-Romagna era necessario rivolgersi direttamente al proprio medico di base, in Puglia erano gli istituti di appartenenza ad occuparsi di raccogliere le adesioni e di far partire le somministrazioni, in Veneto gli assistiti erano contattati direttamente dalla regione, mentre in Campania, ma non solo, era possibile prenotarsi su una piattaforma regionale. E non sono mancati disservizi vari: proprio in Lombardia è stata segnalata nei giorni scorsi l’impossibilità ad accedere al portale per gli insegnanti che lavorano, appunto, in Lombardia ma che risiedono fuori regione. Il problema poi è stato risolto nel momento in cui si è deciso che sarà il sistema sanitario regionale a prendersi carico anche di queste persone.
Come segnala il sito OrizzonteScuola, il vaccino anti-Covid non ha risparmiato problemi al personale scolastico: molti i docenti e non docenti che sono dovuti restare a casa per colpa degli effetti collaterali. I sintomi più frequenti: febbre, mal di gola, dolori articolari e muscolari.
Colpisce poi il fatto che uno dei nodi più dibattuti in merito a questa fase di vaccinazione sia quello dei permessi. In pratica, se la vaccinazione avviene in orario scolastico, quale permesso deve prendere il personale docente e Ata? Come si giustifica l’assenza? Al momento, essendo la vaccinazione su base volontaria, non esistono precedenti normativi né permessi speciali ad hoc che consentano di “essere giustificati dall’assenza per il tempo necessario alla somministrazione”. Si fa riferimento ai permessi già usufruibili in base al proprio status giuridico: permesso per motivi personali e ferie? Oppure permesso breve? O ancora, si segue l’iter previsto nei casi di visita specialistica? Una situazione che i sindacati giudicano “inammissibile”.
Il dubbio sorge spontaneo: in un momento di emergenza epidemica grave a causa del vertiginoso aumento dei contagi legati alla variante inglese, a chi preme di più la burocrazia che la didattica? Abbiamo davvero bisogno di tutta questa “ansia” di burocratizzare un passaggio chiave che aiuterà a tornare prima a fare didattica in presenza, superando strozzature e inefficienze della Dad, che consentirà di risolvere un problema di salute pubblica e di salvare quel che resta di un anno scolastico slabbrato, dopo quello sostanzialmente perso lo scorso anno?
E qui arriva la domanda capitale: una volta completata la vaccinazione, o almeno raggiunta una quota consistente di personale scolastico vaccinato, in quel momento che cosa potrà ancora impedire di tornare in classe? “Sul tema scuola – risponde Mattia Doria, medico pediatra e segretario nazionale attività scientifiche ed etiche della Federazione italiana medici pediatri (Fimp) – non ci possono essere posizioni ideologiche su chiusura o apertura. Dobbiamo sempre valutare come va l’epidemia, perché la scuola è inserita in un ambito sociale molto più largo, basti pensare al sistema dei trasporti che vi ruota attorno. Detto questo, la vaccinazione degli insegnanti va nella direzione di ridurre i contagi: con il vaccino si ha un’altissima probabilità di non ammalarsi, ma non c’è ancora sufficiente certezza su quanto la vaccinazione protegga dalla possibilità di essere un veicolo del virus. E’ comunque importante che arrivi anche una vaccinazione in età pediatrica, perché, essendo bambini e adolescenti serbatoio e diffusori del Covid, non dobbiamo solo proteggere dalla malattia, ma dobbiamo bloccare la diffusione del virus. Comunque, non è a scuola che nasce l’infezione, si diffonde perché arriva da fuori: va quindi governata quella fetta di socialità”.