Basta un aumento di ricoveri per Covid di donne incinte per raccomandare una vaccinazione indiscriminata e a tappeto di chi attende un figlio? È giustificata in tal senso l’insistenza di Ministero, autorità sanitarie regionali e sodalizi ostetrico-ginecologici e neonatali? Cosa dicono i dati al proposito?
Una voce fuori dal coro arriva da un nutrito gruppo di docenti universitari raccolti nell’Associazione Gruppo docenti universitari CoScienze critiche, che ha diffuso una nota di commento al riguardo. Eccolo:
“Le vaccinazioni sono un atto medico serio e le campagne vaccinali non vanno pianificate sulla base di paure irrazionali. Il primo dato da considerare è il tasso di rischio a cui una determinata fascia della popolazione è esposta. Questo è il motivo per cui non si insiste sui “richiami” in età adulta di vaccini obbligatori in età pediatrica.
John Ioannidis, epidemiologo riconosciuto tra i più importanti al mondo, stima così il rischio di morte da Covid-19:
0,0027% per la classe di età da 0 a 19 anni;
0,014% da 20 a 29 anni;
0,031% da 30 a 39 anni;
0,082% da 40 a 49 anni;
0,27% da 50 a 59 anni;
0,59% da 60 a 69 anni.
Il rapporto rischio/beneficio di un vaccino deve essere razionalmente stabilito sulla base di questi dati. Un articolo sul British Medical Journal dell’anno scorso aveva già rimarcato come non ci fosse alcun dato certo sull’interazione tra vaccini Covid e gestazione, poiché le donne in gravidanza non erano state incluse nella fase di sperimentazione clinica controllata (i cosiddetti trials). Pertanto, allo stato attuale, qualunque raccomandazione dei vaccini anti-Covid-19 a gestanti non è prevista dal produttore del farmaco.
Dati i rischi potenziali dell’uso in gravidanza di un qualsiasi farmaco, in particolare se innovativo, dichiaratamente non testato rispetto ad aborti e teratogenesi, la sua raccomandazione non è assolutamente opportuna. Recentemente, gli effetti dei vaccini Covid sulle donne in gravidanza sono stati riportati dallo studio Preliminary Findings of mRna Covid-19 Vaccine Safety in Pregnant Persons pubblicato sul New England Journal of Medicine, uno dei più autorevoli giornali scientifici. Gli autori, membri del Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), organismo di controllo della salute pubblica del governo federale Usa, analizzano gli eventi avversi successivi alla vaccinazione anti-Covid condotta con tecniche di farmacovigilanza attiva (il cosiddetto follow-up), che hanno fatto registrare 104 aborti spontanei entro la 20esima settimana di gravidanza.
Il numero complessivo di donne considerate nello studio, di cui è stato completato il follow-up, varia tra le 319 e le 127, in funzione del momento in cui hanno ricevuto la vaccinazione (entro o dopo i trenta giorni immediatamente precedenti l’ultimo flusso mestruale).
Considerando come affidabile questi campioni di donne, si ottiene un tasso di aborti spontanei compreso tra il 32,6% e l’81,9%, decisamente più alto di quello stimato in precedenza dagli autori (12,6%) riferito alle donne gravide senza distinzione di settimana gestazionale e per questo ritenuto dai ricercatori in linea con i dati della fisiologia in gravidanza.
Un’analisi di questo studio ha evidenziato invece come le iniziali dichiarazioni rassicuranti degli autori riguardo i casi di aborti spontanei siano state poi ritrattate a seguito di osservazioni critiche avanzate da altri ricercatori, tanto che la stessa direzione della rivista ha imposto di espungere le frasi tranquillizzanti nelle conclusioni. Questi dati mostrano infatti, anche per la stima di rischio più ottimistica, elementi preoccupanti.
In attesa di conferma e di ulteriori dati si impone la massima cautela nella gestione delle vaccinazioni anti Covid-19 nelle donne in stato di gravidanza e si pone una serissima questione sulla sicurezza della somministrazione, specialmente nel primo trimestre della gestazione, per una fascia di popolazione a bassissimo rischio di decesso a causa del Covid-19“.
Questo il testo del Gruppo docenti universitari CoScienze critiche. A margine ci sarebbe da chiedersi come mai un ente governativo di controllo interrompe uno screening e quando pubblica i dati, necessariamente incompleti, si avventura in conclusioni forzate ma rassicuranti per la politica sanitaria governativa (peraltro di cultura abortista), conclusioni smentite dagli stessi dati che rende noti. Forse la ricerca stava diventando scomoda e imbarazzante per l’Amministrazione Biden? A pensar male si fa peccato, ma come diceva Andreotti spesso ci si azzecca…
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