LO STUDIO UE SUI VACCINI COVID: “STATI HANNO INVESTITO IL DOPPIO DELLE AZIENDE MA DECIDEVANO POCO”
Narrazione in tre anni di pandemia Covid di fatto “ribaltata”: secondo uno studio commissionato dal Parlamento Ue, emerge come gli Stati abbiano rischiato molto più delle aziende farmaceutiche sul fronte vaccini. Nello specifico, i Governi in emergenza hanno investito oltre 30 miliardi di euro contro i 16 delle “Big Pharma”, con però molta meno incisività a livello decisionale rispetto a quanto ci si aspetterebbe con un ruolo così massiccio di investimento. Queste le principali conclusioni di uno studio tutto italiano – realizzato da Massimo Florio, docente di Scienza delle finanze dell’Università Statale di Milano e membro del “Forum Disuguaglianze e Diversità” (Fdd), assieme alla collega Simona Gamba e a Chiara Pancotti del Csil (Centro studi industria leggera) – commissionato però dal Parlamento Europeo.
«Una realtà del tutto diversa dalla narrazione secondo cui i risultati ottenuti con i vaccini si devono soprattutto al rischio assunto dalle imprese farmaceutiche», si legge nella nota del Forum riportata da Avvenire lo scorso 25 marzo dopo esser stato presentato giovedì a Bruxelles. Per nove vaccini esaminati dallo studio Ue, la ricerca ha stimato che le imprese farmaceutiche hanno speso «5 miliardi di euro per ricerca e sviluppo e 11 miliardi per investimenti produttivi – prima di avere certezza di vendita – per un totale di 16 miliardi», a fronte invece dei 30miliardi e passa provenienti dai Paesi (9 miliardi per ricerca e sviluppo, 21 per accordi di acquisto anticipati, tanto Usa quanto Ue).
BIG PHARMA CONTRO LO STUDIO: “VISIONE IDEOLOGICA SUI VACCINI”
«La maggior parte del rischio finanziario che ha consentito la realizzazione dei nove vaccini esaminati è stata assunta dal settore pubblico, non dalle imprese», spiega Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità – ForumDD, sottolineando come «Questo dato nega, in primo luogo, che gli elevatissimi extra-profitti realizzati dalle imprese farmaceutiche nella vendita dei vaccini che, per alcuni di essi hanno raggiunto decine di miliardi di euro per singola impresa, siano in qualche misura giustificati dal rischio di mercato da loro assunto». Il tema però dirimente è che in forza di questi risultati sui vaccini e i finanziamenti giunti, il rischio assunto due volte maggiore dagli Stati con i contribuenti non ha visto un conseguente “potere” primario sul livello decisionale: «Ma a fronte di tale rischio, gli Stati non hanno esercitato la funzione di governo e controllo delle decisioni di prezzo e distribuzione che competono a chi si assume la maggioranza del rischio», sottolinea ancora Barca.
«Una distorsione che rischia di aggravarsi ulteriormente nell’immediato futuro», rilevano dallo studio presentato al Parlamento Europeo, in quanto «Moderna e Pfizer hanno annunciato di volere quintuplicare il prezzo a dose portandolo a circa 100 dollari dagli attuali 20, e che l’immunizzazione dura solo pochi mesi. Per cui si ricomincerà a dover pagare un conto illimitato». Secondo l’analisi è necessario ora «normare a livello europeo la condivisione delle decisioni di prezzo e distribuzione fra privato e pubblico in relazione all’entità degli investimenti. La strada appropriata», si conclude, «è la costruzione di un’infrastruttura pubblica europea per vaccini e farmaci». Non del tutto d’accordo sulle conclusioni dello studio sono le aziende farmaceutiche, con l’intervento ad “Avvenire del presidente di Farmindustria, Marcello Cattani: «Le nostre aziende non sono enti di beneficenza, vivono di ricerca e sviluppo, producono farmaci che hanno un impatto sulla salute, e devono ripagare non solo la ricerca ma anche gli azionisti. Non siamo diversi da altri settori che perseguono un profitto, che, intendiamoci, deve essere etico». Occorre dunque «sfatare visioni univoche e ideologiche», rileva ancor Cattani, «Se oggi abbiamo riconquistato libertà e salute lo dobbiamo al nostro sforzo nel ricercare, sviluppare e portare questi vaccini straordinari ai pazienti in meno di un anno, quando i tempi standard sono di 5-12 anni… Se non abbiamo compreso sulla nostra pelle il valore di innovazione e ricerca tradotti in vaccini e farmaci, continueremo ad avere discussioni faziose». Ancora più netto il caustico commento finale che coglie il punto della “disfida” a livello internazionale sul tema Big Pharma e vaccini: «Se vogliamo limitare questa narrazione a “extroprofitti” o alle licenze obbligatorie, difficilmente avremo nuove cure, proprio mentre stiamo sviluppando piattaforme terapeutiche destinate ad avere un enorme impatto sui cittadini e grandi benefici per i sistemi sanitari», conclude il n.1 di Farmaindustria.