Davanti ai dati della pandemia, che registra un aumento di contagi e ricoveri, si intensifica il pressing sul vaccino anti-Covid ai bambini nella fascia 5-11 anni. I pediatri lo consigliano, perché “se lasciamo la libertà al Sars-CoV-2 di replicarsi, esso aumenterà la capacità di dare origine a nuove varianti”.



Il ministro della Salute, Roberto Speranza, spera che entro dicembre possa arrivare l’ok e il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, ha dichiarato: Se l’Ema autorizza il vaccino agli under 12, noi ci adegueremo”. Ma è così urgente e auspicabile una vaccinazione a tappeto dei bambini? Per Francesco Broccolo, docente di Microbiologia clinica all’Università Milano-Bicocca, assolutamente no: “Il vaccino a tappeto per tutti i bambini è inutile, presenta più rischi che benefici”.



Perché è così contrario al coinvolgimento dei bambini nella campagna vaccinale?

Se il motivo principale per cui si consiglia il vaccino agli under 12 è bloccare la trasmissione del virus, e lo si sente ripetere spesso, ebbene, questo non è il vaccino adatto a tale scopo. Questi vaccini sono stati pensati per proteggere dalla malattia grave e dalla mortalità, ma non dall’infezione, se non nei primi mesi dopo la somministrazione. Anzi, con la variante Delta, a sei mesi dalla vaccinazione, le infezioni raddoppiano.

Questo vorrebbe dire che potrebbe rendersi necessaria una terza dose?

Sì, e probabilmente anche una quarta. Infatti non sappiamo ancora se la terza dose si comporterà come le terze dosi dei vaccini tradizionali, garantendo cioè una protezione che può durare diversi anni.



Eppure i pediatri continuano a consigliare la vaccinazione agli under 12, perché, da un lato, proprio i bambini, assieme ai no vax e agli esitanti, sono oggi i principali diffusori del virus e, dall’altro, perché possono comunque essere colpiti in modo grave dalla malattia. Che cosa risponde?

La vaccinazione, in effetti, serve per evitare i casi di malattia grave, che però nei bambini vediamo assai raramente.

Tradotto in numeri?

Dalla prima ondata a oggi in tutta Italia tra i bambini da zero a 9 anni si sono registrati meno di 20 decessi. E si arriva a poco meno di 40 se si considerano i ragazzi fino a 19 anni. La malattia grave, cioè la sindrome multi-infiammatoria sistemica, la cosiddetta Misc, è un evento raro, che compare nei cosiddetti long-Covid e che comunque non ha portato a decessi, perché poi i soggetti sono guariti.

Il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, ha detto: “Sappiamo che prima i bambini si infettavano meno, ora non è più così: con la variante Delta il virus è più infettivo, rapido, e sappiamo che nei bambini ci sono manifestazioni come sintomi pluri-infiammatori. E’ sempre una valutazione rischio-beneficio. E’ una scelta che va fatta con molta oculatezza”. Secondo lei, è chiaro oggi il rapporto tra vantaggi ed effetti collaterali?

No, non è ancora chiaro. Visto che il virus continuerà a circolare, resta un grosso punto interrogativo.

Che sarebbe?

Quali sono i rischi, i possibili e potenziali effetti collaterali derivanti da una vaccinazione a tappeto dei bambini?

La sua risposta?

Ricordo che la Fda ha testato l’efficacia dei vaccini su poco più di 2mila bambini, un numero certo sufficiente, ma sono troppo pochi per valutare gli effetti collaterali. Siamo ben lontani da una numerosità campionaria tale da poter stimare i rischi, sia quelli a breve che, tanto meno, a lungo termine. Una miocardite, per esempio, la si nota su numeri più consistenti, se ne contano una o due almeno ogni 100mila bambini. Le avessimo riscontrate su quei 2mila bambini, sarebbe stato un vaccino da eliminare immediatamente.

E i benefici?

Sono piuttosto difficili da valutare, in quanto il vaccino blocca certamente una malattia severa come la Misc, ma non ferma l’infezione. Difficile a queste condizioni approvare il vaccino pediatrico.

Ma se l’Ema autorizza il vaccino pediatrico, l’Aifa deve adeguarsi?

E’ così, potrebbe anche esserci una discussione, un confronto, ma visto che tutti sono così allineati sui vaccini…

Come proteggere allora i bambini?

Premesso che ai bambini fragili e più soggetti a queste patologie infiammatorie multi-sistemiche somministrerei senza dubbio il vaccino, a tutti gli altri consiglierei di indossare la mascherina. Anche perché, qualora un bambino fosse pure vaccinato, in classe dovrebbe comunque entrare con la mascherina, perché resta un potenziale diffusore. Quindi il vaccino non agevolerebbe la sua vita. Si dice spesso: vacciniamoli così non faranno la Dad. Ma ormai molti studi dimostrano che le scuole non sono state incubatori della pandemia in grado di far schizzare l’indice Rt, come tutti temevano.

Lei propone anche di togliere la possibilità di ottenere il green pass con il tampone. Per quale motivo?

Semplice: il green pass ottenuto con un tampone mette sullo stesso piano di chi ha il certificato perché vaccinato. Non ci sono differenze, non sono distinguibili.

Dove sta il problema?

L’antigenico ha una sensibilità estremamente bassa, non garantisce che il soggetto non sia infetto. Dati alla mano, i tamponi antigenici oggi in Italia scovano lo 0,1% dei positivi, mentre i tamponi molecolari arrivano anche oltre il 5%. Cioè con gli antigenici sembrerebbe, ma è del tutto illogico, che i non vaccinati non si infettano mai. E’ un dato falsato, prende solo i super-diffusori.

Quindi?

Così il soggetto che ha ottenuto il green pass con il tampone si espone come se corresse gli stessi rischi e avesse la stessa “rilassatezza” di chi è vaccinato a eventi, specie in luoghi chiusi, per esempio la tavolata in un ristorante. In realtà, rischia di più rispetto al vaccinato, perché può fare le stesse cose, ma non è protetto contro la malattia.

Come uscirne?

Si potrebbero pensare due tipi di green pass, ben distinti.

Lei però consiglia il tampone per chi viaggia, anche se vaccinato.

Dopo tre mesi dalla vaccinazione non solo cala il titolo anticorpale, ma i soggetti tornano a infettarsi e dopo sei mesi dalla seconda dose c’è addirittura un raddoppio delle infezioni. Per questo negli spostamenti è utile e necessario eseguire un tampone molecolare.

In Italia contagi e ricoveri sono in aumento. Avremo un nuovo picco a Natale?

E’ molto probabile, perché il trend che si è innescato dal 15 ottobre è in risalita, lenta e costante: a metà ottobre avevamo il 2% di contagiati con i test molecolari, oggi si oscilla fra il 5% e il 6%. Anche incidenza, ricoveri e terapie intensive stanno crescendo.

Bertolaso ha dichiarato che la Lombardia potrebbe tornare in zona gialla. E’ così?

Al momento la Lombardia ha un’incidenza pari a 56 positivi su 100mila abitanti e non ha terapie intensive e ricoveri vicino alle soglie critiche del 10% e del 15%, è ancora lontana. Ci sono altre regioni che stanno peggio.

Quali?

Le più critiche sono il Friuli-Venezia Giulia, soprattutto, e il Trentino-Alto Adige, entrambe con un’incidenza pari a oltre 150 infetti ogni 100mila abitanti e terapie intensive e ospedalizzazioni molto vicine alle soglie critiche. Poi ci sono le Marche, ma solo per il parametro delle terapie intensive.

C’è il rischio che possa insorgere una nuova variante?

Non è da escludere, perché si vedono di continuo nuove combinazioni di mutazioni. L’impressione è che il virus le stia sperimentando non solo, come ha fatto finora, per aumentare la sua capacità di trasmissione, ma anche per cercare di sfuggire agli anticorpi, sia quelli da Covid che da vaccino. E in termini di probabilità è più facile che ciò accada soprattutto nei paesi dove il virus circola di più, come in Russia, in Austria o in Germania.

(Marco Biscella)

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