Un vaccino per prevenire l’Alzheimer: un traguardo ambizioso a cui stanno lavorando i ricercatori dell’Università di Medicina della Juntendo a Tokyo, in Giappone. Il vaccino è in grado di colpire le cellule infiammate del cervello associate alla malattia, per prevenire o modificare il corso della stessa. Lo studio preliminare è stato presentato al congresso dell’American Heart Association 2023. Questo è il terzo vaccino contro l’Alzheimer a cui si sta lavorando. In precedenza, infatti, i ricercatori giapponesi avevano realizzato uno per eliminare le cellule senescenti che esprimono la glicoproteina associata alla senescenza (Sagp), un vaccino senolitico che è in grado di migliorare diverse malattie legate all’invecchiamento, come aterosclerosi e diabete di tipo 2 nei topi.
Un’altra ricerca aveva rilevato che le Sagp sono molto espresse nelle cellule gliali dei malati di Alzheimer. Quindi, i ricercatori hanno testato questo vaccino nei topi per colpire quelle cellule che sovraesprimono Sagp e trattare l’Alzheimer. «La sfida futura sarà ottenere risultati simili negli esseri umani. Se il vaccino si dimostrasse efficace negli esseri umani, rappresenterebbe un grande passo avanti per ritardare la progressione della malattia o persino prevenirne l’insorgenza», dichiara Chieh-Lun Hsiao, dottore in Filosofia e borsista post-dottorato del dipartimento di Biologia e medicina cardiovascolare della Juntendo, autore principale dello studio.
COME FUNZIONA IL VACCINO ANTI ALZHEIMER
I ricercatori hanno creato un modello di topo della malattia di Alzheimer che riproduce le caratteristiche del cervello umano e simula la malattia indotta dall’amiloide beta. Per verificare l’efficacia del vaccino Sagp, i topi sono stati trattati con uno di controllo o con quello Sagp a due e quattro mesi di età. Solitamente, le persone allo stadio avanzato di Alzheimer, non provano ansia, quindi non sono consapevoli di ciò che li circonda. Invece, i topi vaccinati hanno manifestato ansia, infatti erano più cauti e consapevoli. Un segno, spiega Salute.eu, che per gli studiosi potrebbe indicare un miglioramento della malattie. Inoltre, è stata riscontrata una riduzione di diverse biomolecole infiammatore associate all’Alzheimer.
Quindi, i risultati dello studio evidenziano che il vaccino Sagp riduce significativamente i depositi di amiloide nei tessuti del cervello nella regione della corteccia cerebrale, dove viene elaborato il linguaggio, ma responsabile anche dell’elaborazione dell’attenzione e della risoluzione dei problemi. Ma è stata anche dimostrata una riduzione delle dimensioni delle cellule astrocitarie nei topi vaccinati e di altre biomolecole infiammatorie, a conferma del miglioramento dell’infiammazione cerebrale dopo la vaccinazione. I topi vaccinati sono stati sottoposti a sei mesi di età ad un test comportamentale da cui è emerso che reagivano meglio al loro ambiente rispetto a quelli che avevano ricevuto il placebo. I topi vaccinati hanno evidenziato poi un comportamento simile a quello dei tipi sani normali e maggiore consapevolezza dell’ambiente circostante.
VACCINO ANTI ALZHEIMER: ROSSINI INVITA ALLA CAUTELA
Ma gli scienziati restano cauti. Come il professor Paolo Maria Rossini, il quale a Salute.eu evidenzia che «i modelli animali di neurodegenerazione riproducono solo una parte dei sintomi e delle cause delle forme ‘sporadiche’ umane (quelle presenti nella stragrande maggioranza, visto che le forme ereditarie sono una percentuale inferiore al 5%)». Il direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Ospedale San Raffaele di Roma chiarisce anche che «la reazione infiammatoria attorno alle placche di beta amiloide è solo una delle numerose concause di neurodegenerazione». Inoltre, l’ipotesi del vaccino contro l’Alzheimer non è nuova: «Le prime sperimentazioni anche sull’uomo sono state condotte circa 25 anni orsono e poi interrotte per effetti collaterali piuttosto severi».
Riguardo lo studio, Rossini aggiunge: «Il passaggio dall’osservazione di un fenomeno in un modello animale all’applicazione pratica su malati umani avviene in circa l’1% di casi e solo dopo una sperimentazione che dura anni ed anni che ne dimostri l’efficacia superiore a placebo e l’assenza o la bassa incidenza di effetti collaterali medio-gravi a breve e medio termine». C’è poi un’altra criticità secondo Rossini, cioè in quale fase della malattia somministrare il vaccino contro l’Alzheimer: «Il lasso di tempo che separa l’inizio dei processi di neurodegenerazione e la comparsa di sintomi clinici (ad esempio i disturbi della memoria e del comportamento) è notoriamente molto, molto lungo. Si parla anche di decenni. Occorre pertanto capire in quale fase di questo processo si verrebbe ad inserire l’effetto protettivo del vaccino. Laddove dovesse inserirsi in una fase già avanzata, allora la sua efficacia clinica potrebbe essere minima o nulla».