Quasi un quarto rispetto alla media Ue e meno di un quinto rispetto all’Olanda, il paese più “virtuoso”. In rapporto alle dosi di vaccino anti-Covid somministrate, nell’attività di farmacovigilanza passiva l’Europa mostra un numero di segnalazioni di eventi avversi maggiore e dati più preoccupanti, in fatto di reazioni avverse gravi e di decessi, cioè in tema di sicurezza dei vaccini. E questo, più che dare spago a teorie no vax (i vaccini stanno, senza alcun dubbio, dimostrando la loro efficacia), dovrebbe forse aprire ad alcuni interrogativi in merito alla “reale” capacità di intercettare e misurare le reazioni provocate dai quattro sieri utilizzati, che – giova ricordarlo – sono ancora in fase di autorizzazione emergenziale.



Partiamo, intanto, dall’ultima situazione fotografata dall’Aifa. In base al nono Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid, tra il 27 dicembre 2020 e il 26 settembre 2021 nel nostro paese sono pervenuti 101.110 eventi segnalati di sospetta reazione avversa su un totale di 84.010.605 dosi somministrate – con un tasso di segnalazione pari a 120 casi ogni 100.000 dosi -, di cui l’85,4% riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. Le segnalazioni gravi corrispondono al 14,4% del totale (17 eventi gravi ogni 100.000 dosi iniettate).



Visto che Comirnaty della Pfizer è il vaccino attualmente più utilizzato nella campagna vaccinale italiana (71,2%), seguito da Vaxzevria di AstraZeneca (14,5%), Spikevax di Moderna (12,5%) e Covid-19 Vaccino Janssen (1,8%), anche la distribuzione delle segnalazioni per tipologia di vaccino ricalca quella delle somministrazioni: Comirnaty 68%, Vaxzevria 22%, Spikevax 9% e Janssen 1%.

Complessivamente, eliminati i casi per cui è stata inserita più di una segnalazione, 608 avvisi gravi riportano l’esito “decesso”, con un tasso di segnalazione di 0,72/100.000 dosi somministrate. Il tempo intercorrente tra la somministrazione e il decesso varia da poche ore fino a un massimo di 189 giorni. In 397 casi il decesso si è registrato dopo la prima dose e in 211 dopo la seconda. Come riporta la stessa Aifa, “il 71,5% (435 su 608) delle segnalazioni con esito decesso presenta una valutazione del nesso di causalità con l’algoritmo dell’Oms, in base al quale il 59,5% dei casi (259 su 435) è non correlabile, il 30,6% (133 su 435) indeterminato e il 6,2% (27 su 435) inclassificabile per mancanza di informazioni sufficienti. Complessivamente, 16 casi (3,7%) sui 435 valutati sono risultati correlabili (circa 0,2 casi ogni milione di dosi somministrate), di cui 14 già descritti nei Rapporti precedenti. Le rimanenti 2 segnalazioni si riferiscono a 2 pazienti di 76 e 80 anni con condizione di fragilità per pluripatologie, deceduti per Covid-19 dopo aver completato il ciclo vaccinale”.



In questo quadro, tre sono le percentuali da ricordare: 0,12% di eventi avversi segnalati sul totale delle dosi somministrate; 14,4% eventi avversi gravi sul totale di chi ha manifestato criticità post vaccinazione; 0,60% decessi su totale segnalazioni gravi.

Nel mondo farmaceutico, per tutti i medicinali in commercio (e i vaccini non fanno eccezione), la “sicurezza” è una priorità ancor più importante della questione “efficacia”. Può infatti capitare che un farmaco si dimostri “sicuro” in fase di sperimentazione, ma emergano a medio/lungo termine complicanze che non erano state osservate nel breve termine o in fase di sperimentazione e ciò può comportare anche il richiamo o la revoca dell’autorizzazione alla messa in commercio da parte delle autorità preposte (Fda o Ema), come già avvenuto in passato.

Per arrivare a una rapida autorizzazione dei vaccini anti-Covid sono state implementate, a livello regolamentare, procedure “accelerate” emergenziali da parte di Fda ed Ema. Per questo la questione della “sicurezza” andrebbe affrontata seriamente, alla luce anche del fatto che, in fase di sperimentazione, su queste terapie geniche (secondo la Fda i farmaci che usano Rna sono da classificare come tali) non sono stati condotti studi di farmacotossicità, genotossicità e carcinogenicità da parte dei produttori.

Alla luce di queste evidenze, è facilmente intuibile quanto sia importante l’attività di farmacovigilanza, il cui obiettivo è quello di raccogliere e catalogare ogni singola segnalazione di evento avverso che si verifichi in un dato soggetto. E i due database più importanti sono il Vaers negli Stati Uniti ed Eudra in Europa, che si occupano della cosiddetta “farmacovigilanza passiva”. Di che si tratta? Di segnalazioni che hanno bisogno del consenso del paziente, il quale può inoltrarle tramite form online o attraverso personale terzo (sempre previo consenso del paziente). Ai fini della segnalazione, è necessario solo che vi sia un nesso temporale, senza scadenze prefissate, mentre non è rilevante stabilire un nesso causa/effetto tra la somministrazione del farmaco e il manifestarsi dell’evento avverso, compito che non spetta al medico segnalatore né al paziente.

Eudra e Vaers rivestono, quindi, un ruolo importantissimo in relazione alla sicurezza dei vaccini anti-Covid, perché, partendo dalle segnalazioni che vengono inoltrate, le autorità preposte possono stabilire se vi siano nessi statistici tra questi farmaci e i singoli eventi avversi in determinate categorie di soggetti.

Ma c’è un problema. Pur riportando tutti i dati, i file di Eudra non risultano di chiara e facile lettura, considerando che:

1) non tutti gli eventi segnalati sono necessariamente correlati alla vaccinazione;

2) in un sistema di segnalazione passivo e in mancanza di autopsie e/o analisi più approfondite, il sistema di farmacovigilanza utilizza la statistica per determinare la plausibilità di correlazione: maggiore è il numero di segnalazioni relative a un tipo di evento, maggiori sono le probabilità che detto evento sia, in effetti, da ricondursi alla vaccinazione;

3) studi scientifici e statistici dimostrano che un sistema di farmacovigilanza passiva tende a sottostimare gli eventi avversi effettivi, nel senso che gli effetti avversi reali sono pari ad almeno 9 volte quelli segnalati;

4) a questa sottostima “sistemica” occorre poi aggiungere l’evidenza empirica secondo la quale, in mancanza di sospetti da parte del paziente, il dubbio di correlazione di un evento avverso al vaccino non viene generalmente sollevato dai medici. Non solo: capita anche che l’eventuale sospetto da parte del paziente sia spesso banalizzato da una parte del personale sanitario.

I dati Eudra, aggregati a livello europeo e aggiornati al 9 ottobre 2021, per i quattro vaccini attualmente distribuiti mostrano queste evidenze:

• totale eventi avversi segnalati: 2.563.768 su 574.807.000 dosi somministrate (0,44%);

• numero eventi avversi gravi (per “reazione avversa grave” si intende una reazione che abbia richiesto ricovero ospedaliero o necessità di trattamento prolungato o rappresentato un pericolo per la vita): 1.225.131 (47,79% degli eventi segnalati);

• numero eventi avversi fatali: 27.242 (1,06% degli eventi segnalati). Un numero, quest’ultimo, che è nettamente superiore alla somma di tutte le segnalazioni di evento avverso fatale, per esempio, negli ultimi 20 anni con il vaccino antinfluenzale.

Per completezza di informazione, Ema ha comunicato ufficialmente che, al 30 settembre 2021, i deceduti a seguito di evento avverso sono 6.990, mentre gli individui che hanno avuto una reazione grave ammontano a 1.068.192.

E l’Italia? Le segnalazioni nel nostro paese alla stessa data sono state 99.033 (vale a dire lo 0,11% delle dosi di vaccino somministrate, pari a 86.411.000) e balza subito all’occhio la notevole sottostima rispetto alla media europea, sia con riguardo al numero di segnalazioni rispetto alle dosi somministrate (0,11% invece di 0,44%), sia rispetto alle percentuali di eventi gravi (13,8% contro 47,79%) e fatali (0,60% contro 1,06%).

Provando, quindi, ad applicare la media europea, si avrebbero in Italia i seguenti numeri:

• eventi segnalati: 380.208 (0,44% di 86.411.000);

• eventi avversi gravi: 181.701 (47,79% di 380.208);

• eventi avversi fatali: 4.030 (1,06% di 380.208).

Sempre secondo EudraVigilance, l’Olanda risulta il paese più “virtuoso” in materia di segnalazione di eventi avversi. Nei Paesi Bassi, infatti, a fronte di 23.826.648 dosi di vaccino somministrate, sono stati catalogati 154.487 eventi segnalati, pari allo 0,65% (dati sempre aggiornati al 9 ottobre 2021).

Se applicassimo all’Italia la percentuale olandese relativa al numero di segnalazioni e

la media europea (unica al momento disponibile) quanto a numero di eventi gravi e fatali, otterremmo questi risultati:

• totale eventi avversi: 561.671 (0,61% di 86.411.000);

• numero eventi avversi gravi: 268.423 (47,79% di 561.671);

• numero eventi avversi fatali: 5.954 (1,06% di 561.671).

Si tratta, ovviamente, di semplici proiezioni e va giustamente ricordato che potrebbero sussistere ulteriori cause che giustificano le differenze tra i vari Stati relativamente alla percentuale di segnalazioni rispetto alle dosi somministrate.

Compulsando tra le pieghe della banca dati Eudra, si scoprono anche 4 casi di “agonia mortale”, la conferma che tra le donne incinte la vaccinazione fa registrare un numero elevato di aborti spontanei e – considerato che il Covid-19 è una pericolosa malattia multi-organo – il fatto che anche i vaccini presentano una gamma di sotto-categorie di eventi avversi molto più ampia e dettagliata rispetto a molti altri medicinali.

Alla luce di tutto questo, non appare del tutto fuori luogo porsi alcune domande: in Italia vengono raccolte meno segnalazioni? Ci sono, e quanti sono, i vaccinati che per “censura istituzionale” o “autocensura” non segnalano eventi avversi? Abbiamo un sistema di farmacovigilanza meno efficace, rigoroso e virtuoso di quello europeo, e olandese in particolare?

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