Siamo il paese di Enrico Fermi, Camillo Olivetti, Enrico Mattei. Abbiamo da sempre una forte vena scientifica, umanizzata dal Rinascimento, con interpreti molto poliedrici, da Leonardo da Vinci all’ingegner Carlo Emilio Gadda.

Il nostro paese è ancora tra le prime dieci potenze industriali al mondo, ha la sesta manifattura ed è la sesta potenza mondiale. Possiede aziende internazionali e ha un settore di ricerca avanzato. Non deve, quindi, meravigliare che l’Italia sia in prima linea per dotarsi di vaccini autoprodotti e per non dipendere dall’estero, ne ha la forza e la tradizione, oltre alla tecnologia. Certo è che per questo passo strategico serve una sinergia con lo Stato, che tale ricerca deve incentivare e spronare.



Vaccino italiano a buon punto

“Abbiamo arruolato 100 persone e 45 sono state vaccinate con dosi diverse e tutti sono arrivati alla fine per la valutazione di sicurezza: il vaccino non ha avuto alcun avvento avverso grave nei primi 28 giorni dalla vaccinazione, un risultato migliore rispetto a Moderna e Pfizer che hanno avuto effetti indesiderati. Il picco di produzione di anticorpi a 4 settimane resta costante e il vaccino è a una sola dose”. Una dichiarazione pesante quella di Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani. Una dichiarazione arrivata durante la presentazione dei risultati della Fase 1 della sperimentazione del vaccino sviluppato da ReiThera, azienda tutta italiana.



ReiThera ha infatti illustrato che Grad-CoV2 – questo il nome tecnico del vaccino, non creato con tecnologia mRna – è basato su un vettore adenovirale (chiamato Grad), derivante dai gorilla e modificato affinché non possa replicarsi. Questo vettore, brevettato ovviamente dall’azienda, codifica l’intera proteina Spike, che consente al nuovo coronavirus di entrare nelle cellule umane.

I dati della Fase 1 sono confortanti: ben il 92,5% dei vaccinati ha sviluppato anticorpi rilevabili. Tutto molto incoraggiante, visto che Moderna e Pfizer nella stessa fase hanno ottenuto riscontri peggiori. La previsione è chiudere la Fase 3 entro l’estate, con inizio della campagna vaccinale per settembre.



L’Italia è chiamata a competere nella nuova industria dei vaccini, che accompagnerà i prossimi anni. Questa è tecnologia biomedica avanzata e non molti paesi al mondo possono permettersela.

Il paradigma italiano per tornare ad una discreta normalità prevede: campagna vaccinale serrata, raggiungimento dell’immunità di gregge entro novembre (72,5% della popolazione italiana, circa 42 milioni di persone) e confini blindati fino al 2022. Nella prima parte del 2022 si potrà ottenere una copertura vaccinale atta a spezzare le catene di trasmissione del virus. Riusciremo a produrre 100 milioni di dosi e saremo in grado di competere anche sul mercato estero, e non è poco.

La fretta di norma è cattiva consigliera, nel nostro caso è fondamentale per bloccare le “varianti”, visto che a preoccupare di più è ora la variante che ha colpito il Brasile.

Vaccini e variante brasiliana

La variante brasiliana è anomala, visto che è esplosa in una città amazzonica, Manaus, dove il virus aveva colpito il 70% della popolazione e dove si è notata anche una notevole casistica di re-infezioni. Risulta ammalata nuovamente, ma più gravemente, un’infermiera di 45 anni, che già si era ammalata a ottobre. Dopo cinque mesi dalla prima guarigione gli anticorpi non sono riusciti a proteggerla dal virus. E il virus a Manaus è mutato per continuare a diffondersi.

Questa variabile preoccupa, non poco, in tema vaccini. L’immunità naturale può non essere sufficiente, si rischierebbe una re-infezione continua, ciclica, con ondate sempre costanti, non in diminuzione come per la Spagnola. Quest’aspetto va analizzato ed evitato oppure il recupero del sistema sanitario diventa complicato.

Per ora non sappiamo quanto i vaccini difendano dalle varianti, ci vuole tempo, ma garantiscono immunità più elevata rispetto a quella derivata dall’infezione naturale. Inoltre le tecnologie per rimodulare i vaccini alla variante esistono e si possono applicare in tempi brevi. Per esempio, quelli sintetici a mRna, ora in somministrazione in Italia, sono riprogrammabili in soli due mesi.

Ovviamente queste varianti creano delle variabili che dilatano i tempi. Finora la pandemia non sta implodendo, anzi avanza in Stati privi di un sistema sanitario moderno ed efficiente, mentre in non pochi paesi è saltato il conteggio di malati e decessi. Serve quindi organizzazione, rapidità d’intenti e sinergia tra continenti per arrivare a spezzare la catena di un contagio ormai mondiale. Paesi come l’Australia pensano alla chiusura dei confini per tutto l’anno, procedendo a vaccinazione e consentendo solo movimenti interni.

L’Italia ha la possibilità di uscire parzialmente da questo teatro, per poi blindarsi, in circa 10 mesi e con quattro vaccini a disposizione (ritardi di Pfizer permettendo). Lo scenario è ancora complesso, troppe le variabili in campo, e per evitare lockdown totali ci servono, appunto, molta organizzazione e soprattutto rapidità d’intenti.

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