La notizia ha avuto la massima diffusione: “Funzionano gli anticorpi generati da vaccino italiano dell’azienda Takis, possibili le prime sperimentazioni sull’uomo da luglio”. Quello che tutto il mondo aspetta. Peccato che l’azienda di Pomezia, che sta lavorando con l’Istituto Spallanzani di Roma, non sia stata autorizzata dall’Istituto stesso a dare la notizia: “Sulla base dei dati sinora disponibili l’Istituto, per quanto a propria conoscenza, ritiene che non sia possibile giungere a conclusioni di qualunque natura sull’efficacia del potenziale candidato vaccinale”. È chiaro che gli interessi economici dietro la produzione di un vaccino in grado di sconfiggere il Covid-19 sono enormi, anche se, spiega in questa intervista il professor Carlo Federico Perno, ordinario di Microbiologia e Microbiologia Clinica nell’Università degli Studi di Milano e già responsabile del laboratorio monitoraggio terapie antivirali presso l’Irccs Lazzaro Spallanzani di Roma, “un’azienda non realizza grandi profitti con i vaccini, ma con la produzione di farmaci per curare le malattie croniche”. È altrettanto vero però, aggiunge Perno, “che divulgare una notizia del genere suscita interesse verso l’azienda stessa, ma senza una valutazione scientifica internazionale annunci del genere non devono essere dati”.
Come commenta, allora, la notizia che è stata rilasciata? E che valore può avere un test effettuato sui topi, che sappiamo non possono contrarre il coronavirus e sono modelli imperfetti per le sperimentazioni?
L’azienda ha fornito un comunicato in cui dichiara la collaborazione con lo Spallanzani, che in seguito ha fatto sapere di non aver autorizzato tale comunicato. Ci sono quindi due aspetti da considerare, uno scientifico e uno – diciamo così – politico.
Partiamo dall’aspetto scientifico.
Qualsiasi antigene introdotto in qualunque sistema vivente genera anticorpi. È la cosiddetta immunogenicità dell’antigene, la capacità di stimolare il sistema immunitario. Avere sviluppato anticorpi contro un determinato antigene, in questo caso quello del Sars-Cov-2, indica che l’antigene ha una sua immunogenicità, ma ciò non significa assolutamente che questi anticorpi possano proteggerci dall’infezione. Anche perché va considerato il modello murino, cioè il topo.
Il secondo aspetto?
Quanto annunciato potrebbe anche essere interessante, però urge che queste comunicazioni scientifiche siano comunicate dopo essere passate al vaglio della letteratura scientifica internazionale. Quanto è stato fatto, a mio parere, è da stigmatizzare. Prima si validano gli articoli scientifici e solo dopo se ne dà comunicazione alla stampa. Il lancio di agenzia in questione può certo suscitare interesse, tuttavia non è minimamente valutabile, perché mancano gli estremi della valutazione scientifica.
Sicuramente la corsa al vaccino per il coronavirus presenta aspetti economici enormi. A tal proposito la Ue ha lanciato un’alleanza per il vaccino, investendo 7,5 miliardi. È questa la strada giusta per evitare speculazioni da parte di aziende private?
Con i vaccini sono poche le aziende che si sono fatte ricche, perché i guadagni derivano loro soprattutto dai farmaci, in particolare quelli per curare le malattie croniche, che hanno un costo mediamente alto e implicano una somministrazione prolungata nel tempo. Sviluppare un vaccino ha costi molto sostenuti. Quanto all’iniziativa della Ue, tra l’altro lanciata in accordo con diversi filantropi come Bill Gates, la ritengo un’iniziativa lodevole, finalizzata alla selezione di quei progetti che potrebbero avere una rilevanza maggiore, in modo da poterli finanziare e poter raggiungere in tempi più brevi possibili anche la distribuzione.
Come si pone esattamente Bill Gates in questo progetto?
Lui e altri hanno specificato che per qualunque candidato vaccino che mostra una reale efficacia sono disponibili a sostenere tutti i costi dello sviluppo e della commercializzazione, per far sì che il vaccino non diventi oggetto di remunerazione, ma sia a disposizione di tutti.
Molti suoi colleghi ricordano che, più che la sperimentazione, il vero nodo è la produzione su vasta scala. È vero? E come si potrà organizzare una distribuzione a livello mondiale? Solo in Italia siamo 60 milioni di persone che vorranno essere vaccinate…
Dobbiamo distinguere i due aspetti. In termini di impegno, è lo sviluppo e non la distribuzione il nodo più complicato.
Perché?
Tanti possono essere i vaccini, ma pochi quelli realmente efficaci: basti pensare all’Hiv e all’epatite C, per i quali ancora non abbiamo a disposizione alcun vaccino. La vera difficoltà non sta nella distribuzione, ma nella fase di sviluppo. Però la distribuzione in tempi brevi è un problema che si pone, perché produrre rapidamente miliardi di dosi non è facile. Nel caso del vaccino influenzale si producono centinaia di milioni di dosi, ma senza particolari problemi.
Quindi?
Il problema maggiore è individuare un vaccino ed essere sicuri che risulti efficace. Quindi bisognerà convertire intere catene di aziende alla sua produzione. Questo è il passaggio più difficile. Una volta convertite, mi aspetto percorsi abbastanza rapidi.