Che fine ha fatto il vaccino italiano ReiThera contro il virus SARS-CoV-2? Una domanda che in molti fino ad oggi si sono posti, visto e considerato che molti altri Paesi europei sono riusciti a produrre il proprio siero anti-Covid, mentre lo Stivale ancora non ne ha uno proprio. Eppure, come ricapitola sulle sue colonne il “Corriere della Sera”, il preparato studiato dall’azienda ReiThera, avente sede a Castel Romano era stato presentato “con grande enfasi a gennaio 2021 da diverse autorità sanitarie”, ma “ha subìto un arresto durante la sperimentazione clinica per mancanza di finanziamenti necessari allo svolgimento dell’ultima fase di sperimentazione”.



Circa un anno fa, infatti, la Corte dei Conti aveva “rilevato irregolarità contabili nel decreto del Ministero dello Sviluppo che avrebbe dato il via ai finanziamenti: 81 milioni di Invitalia per completare la fase 3 di sperimentazione. La prima fase dello studio clinico, terminato con risultati definiti ‘promettenti’, è stata finanziata da ReiThera con 6 milioni, che le sono stati in parte rimborsati dallo Spallanzani (5 milioni). I costi della fase 2 sono stati sostenuti ancora da ReiThera”.



VACCINO ITALIANO REITHERA, CHE FINE HA FATTO? VISITE DI CONTROLLO AI VOLONTARI

È ancora il “Corriere della Sera” a sottolineare che l’azienda ReiThera ha terminato la fase 2 di sperimentazione con finanziamenti propri, arruolando all’incirca 900 volontari sani. In queste settimane “stanno per essere ultimate levisite di controllo (follow up) ai volontari. Il vaccino, basato sull’impiego dell’adenovirus del gorilla come navicella per il trasporto dell’informazione per produrre la proteina Spike del Coronavirus nell’organismo (la stessa proteina utilizzata come bersaglio dagli altri preparati), sarebbe risultato sicuro e immunogenico”.



I dati, ha concluso il “CorSera”, sono stati valutati “da un Comitato di esperti internazionali per accelerare il passaggio alla fase 3 su 10mila volontari. ReiThera ha anche potenziato la sua officina di produzione con l’acquisto di due bioreattori che consentirebbero la produzione delle dosi su larga scala”.