Con il vaccino di Johnson & Johnson abbiamo una quarta soluzione contro la pandemia Covid. Il vaccino, autorizzato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) può permetterci di accelerare la campagna vaccinale, anche alla luce del fatto che è monodose. Questa è la prima grande novità. Già impiegato da qualche settimana negli Stati Uniti, ha evidenziato un’efficacia del 72% in Usa, mentre in Sudafrica si è fermato al 64% forse a causa della variante ritenuta più contagiosa. Ma ha una efficacia quasi totale nel prevenire casi gravi di Covid. Come funziona? Non è basato su Rna messaggero come Pfizer-BioNTech e Moderna, ma usa un virus (Adenovirus 26 o Ad26) che è innocuo per il nostro organismo, a cui causano sintomi simili a quelli del raffreddore. I ricercatori lo hanno modificato per fare in modo che entri nelle cellule, ma senza replicarsi o causare una malattia.



All’interno dell’adenovirus però c’è anche il materiale genetico con le istruzioni per produrre la proteina Spike che il coronavirus usa per legarsi alle cellule e replicarsi, causando il Covid. Dunque, ricostruisce Il Post, quando il vaccino viene inoculato, l’adenovirus modificato si lega ad alcuni tipi di cellule e iniettano il loro Dna. Le cellule leggono le informazioni e copiata in una molecola, mRna.



VACCINO JOHNSON & JOHNSON VS COVID: IL MECCANISMO

L’mRna si allontana dal nucleo e viene intercettato dai ribosomi che usano le istruzioni per costruire le proteine Spike. Quindi, il vaccino Johnson & Johnson, come riportato da Il Post, fa in modo che le cellule agiscano come delle piccole fabbriche per produrre questo pezzo di coronavirus. Le proteine raggiungono la superficie della cellula, il sistema immunitario le dona e quindi si attiva. La cellulare che era stata indotta a produrre queste proteine muore al termine del suo ciclo vitale. In questa fase le proteine Spile entrano in contatto con la “cellula presentante l’antigene”, notate dai linfociti T helper che mettono in allerta altre cellule immunitarie, come i linfociti B, che producono gli anticorpi per contrastare la proteina. Quindi, quando si entra davvero in contatto col coronavirus, il sistema immunitario ha gli strumenti per riconoscere la proteina Spike e difendersi. I linfociti T helper, infatti, allertano anche i linfociti T citotossici, che distruggono le cellule del virus. Quel che non sappiamo è per quanto tempo il sistema immunitario mantenga una memoria di quanto imparato con il vaccino.

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