Abruzzo, Liguria, Basilicata, Umbria e Toscana diverranno Regioni “arancioni”: lo ha stabilito ieri la Cabina di regia anti-Covid, che oggi si occuperà del caso Campania. Intanto il premier Conte ha scritto a Repubblica che “abbiamo il doppio dei posti letto in terapia intensiva rispetto a marzo, abbiamo 36mila nuovi medici e infermieri, riusciamo a eseguire 230mila tamponi al giorno anziché 25mila, abbiamo Dpi più che a sufficienza”. Eppure gli anestesisti avvertono: se il trend non cambierà, “in terapia intensiva raddoppio ricoveri in una settimana”. E anche i medici sono preoccupatissimi, temono una Caporetto imminente: “Se dovessimo avviare oggi un’iniziativa più drastica, cioè un lockdown del Paese – ha affermato il presidente della Fnomceo (Federazione nazionale Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri), Filippo Anelli – io credo che potremmo arrivare al Natale con una fase discendente del picco che probabilmente si stabilizzerà all’Immacolata. Se invece i numeri dovessero crescere come viene previsto ora, senza quindi ulteriori azioni, penso che all’Immacolata avremo altri 10mila decessi e avremo quei 5mila posti occupati in terapia intensiva che ci spaventano”. Ma cosa sta succedendo dal punto di vista epidemiologico? Serve davvero al paese un nuovo lockdown? Ne abbiamo parlato con Donato Greco, specializzato in malattie trasmissibili, igiene e sanità pubblica, epidemiologia e biostatistica medica.



Ieri Pfizer ha annunciato che il vaccino, in fase 3, in via di realizzazione con la tedesca BionTech è efficace oltre il 90%. Le Borse hanno festeggiato. Abbiamo anche noi motivi per festeggiare questa bella notizia?

Questa notizia ha un puro aspetto finanziario. I dati di fase 3 non si annunciano prima della comunicazione scientifica. A parlare di efficacia è stato il Ceo di Pfizer, non c’è ancora una pubblicazione, ma solo una promessa di pubblicazione. È una scorrettezza istituzionale che porta soldi a Big Pharma. I vaccini saranno pronti non prima dell’autunno 2021: va detto con chiarezza. Arriveranno 5-6 buoni vaccini, ma anticipare queste cose fa male alla popolazione e fa bene alla tasca.



C’è chi dice che “la situazione è fuori controllo”, chi sostiene che “siamo in guerra”, chi dice che “è una strage annunciata”. Lei come definirebbe questa situazione dal punto di vista epidemiologico?

Siamo davanti a un secondo picco epidemico dell’infezione da Covid-19, un picco imprevisto.

Perché?

Normalmente i virus gemelli del Covid, noti da oltre 60 anni, attaccano soprattutto in primavera. In questo caso invece presentano un secondo attacco adesso.

Come si può spiegare questa anomalia?

Essendo un virus nuovo, molto probabilmente non ha trovato alcuna immunità di popolazione a marzo-aprile-maggio, quando ha colpito una porzione piccola di italiani. Quindi ora siamo rimasti in maggioranza suscettibili a un secondo attacco del virus.



Ma siamo davvero in una situazione da allarme rosso?

Che siamo fuori controllo o che arriverà l’ecatombe, sono le solite esternazioni che accompagnano inesorabilmente ogni epidemia. Succede sempre così: c’è sempre qualcuno che si alza e annuncia la catastrofe con numeri totalmente inventati.

Si può fare una fotografia più realistica?

La realtà è che il paese sta reagendo, nella gran parte delle regioni c’è sì sofferenza, ma l’epidemia viene contenuta e abbiamo ancora regioni che sono al di sotto del limite critico per gli ospedali.

Eppure medici e anestesisti ci raccontano di scenari apocalittici…

L’assalto a pronto soccorso e ospedali è dettato dal fatto che la medicina di base in questi mesi non è stata riformata in maniera adeguata. Il medico di famiglia ormai visita pochi ammalati, il grosso avviene per telefono e poi in ospedale. Ma un anziano in crisi respiratoria può stare diverse ore in attesa nella propria auto fuori dall’ospedale? Il filtro intermedio funziona sempre meno, mentre la cura domiciliare sarebbe la misura più importante da adottare.

La curva dei contagi sta flettendo?

Si notano dei segnali. Ma, se si guarda la curva epidemica pubblicata ogni giorno dall’Iss, la flessione può essere determinata da ritardi nella comunicazione dei dati. Non tutte le Regioni sono tempestive e quindi è probabile che una parte di quelle flessioni che si vedono nella zona grigia della curva probabilmente poi vengano recuperate nei giorni successivi. Bisogna poi tenere conto di due fattori.

Quali?

Il primo: il passaggio dei dati dalle Regioni all’Iss è lungo e complesso, anche se siamo nell’era della telematica. Il secondo: la curva dei positivi è costruita sul numero dei tamponi: più tamponi, più positivi. Quindi, non è una curva naturale, è una falsa curva. La curva naturale è quella degli ammalati e dei ricoverati in terapia intensiva, perché nessuno si sogna di andare in terapia intensiva per divertimento.

E la curva naturale che cosa ci dice?

Ci sta dicendo che molto probabilmente l’epidemia non sta finendo qui, adesso. Avremo forse un altro mese di aumento dei casi, che poi dovrebbero degradare, come successo a fine aprile.

Ci aspetta allora un novembre molto critico, poi andrà meglio?

Questa è una visione realistica e ottimistica, ma il Covid ci ha dato così tante sorprese… Non ci metterei la firma su uno scenario simile. Ci sono però segnali di ammorbidimento, che sarebbero del tutto naturali, visto che la curva sta salendo molto.

In questo momento siamo alle prese con una seconda ondata o siamo ancora dentro la prima?

Più che a ondate siamo davanti a picchi epidemici. Il virus non se ne è mai andato definitivamente, dopo maggio ha continuato a circolare in maniera endemica, a bassa incidenza, fino a settembre, poi a fine settembre ha iniziato una nuova curva epidemica, che finirà, lasciando il posto a una lieve endemia, dopo la quale forse avremo una successiva curva epidemica nella primavera 2021, come fanno tutti i coronavirus.

Avremo cioè una “terza ondata”?

Non ce lo auguriamo, ma la logica fa pensare che sia verosimile. Purtroppo non c’è una memoria immunologica della popolazione su questo nuovo virus.

C’è chi sostiene che a mettere in crisi il sistema sanitario non è tanto il numero effettivo dei malati, ma il panico che dilaga tra la popolazione. È così?

Questo sfortunatamente accompagna tutte le crisi sanitarie: panico e scarico delle responsabilità. Il fatto è che la medicina del territorio non funziona.

Ieri Cts e Cabina di regia ci hanno consegnato un’Italia più rossa e arancione. È necessario un secondo lockdown generale in stile marzo?

No, lo escludo assolutamente, perché il danno sociale, economico e morale che arrecherebbe al paese sarebbe assai più elevato del rischio. Lo Stato e le Regioni hanno concordato il 30 aprile e riconfermato il 30 ottobre un sistema di sorveglianza sofisticato, e a mio avviso ben fatto, basato su 21 indicatori, che danno il polso della situazione proprio per evitare di arrivare a un lockdown nazionale. Chiudere tutto sarebbe una scelta semplice, una scelta dell’ignoranza e della miseria. Adesso conosciamo meglio il virus e con questi indicatori possiamo calibrare le misure: se in una regione gli indicatori peggiorano o migliorano, è giusto che cambi colore.

Ma sui 21 indicatori utilizzati dal governo per disegnare gli scenari e adottare le misure di mitigazione è scoppiata una dura polemica: arrivano troppi dati inattendibili o incompleti. Lei che idea si è fatto?

Le Regioni hanno concordato due volte questo sistema e poi se la pigliano con lo Stato se c’è chi manda male i dati, chi li comunica non corretti o in ritardo? Il governo ha operato una scelta razionale, non basata su fattori politici, ma su dati scientifici. Va detto però che tra questi 21 indicatori ce ne sono alcuni meno oggettivi, più qualitativi e dunque più soggetti a stime o interpretazioni rispetto a numero di positivi, di posti letto o di decessi.

Per esempio?

La proporzione di persone che hanno fatto contact tracing non è un criterio facile a costruirsi.

All’interno del Cts c’è chi propone di ridurre gli indicatori a sette/otto al massimo…

Tutto si può fare. I 21 indicatori sono stati distillati da un ventaglio ben più ampio. Che poi si possa semplificarli e accorparli con indicatori più complessivi, è possibile, ma questo potrebbe ridurre la sensibilità del sistema di sorveglianza.

Visto che un lockdown generale è da escludere, è il momento di insistere con maggior forza sulle misure di profilassi, dall’obbligo di indossare la mascherina al divieto di assembramento?

Sì. Premesso che gli italiani hanno dimostrato, e dimostrano ancora oggi, di essere tra i migliori d’Europa nel rispettare le regole e che in primavera hanno affrontato un lockdown vero, adesso bisogna insistere soprattutto sulle misure efficaci e non su quelle inefficaci. Quindi, mascherine, igiene e distanziamento. Sulla misurazione della temperature, invece, non c’è uno straccio di lavoro scientifico che ne dimostri l’utilità.

(Marco Biscella)

Leggi anche

INCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori