Io ho subito il fascino delle corse in macchina fin da piccolo, scoprendo non solo l’epopea di gare leggendarie come la Mille Miglia o la bellezza di vetture straordinarie come le Ferrari degli anni ’70, ma anche impattandomi nella storia di uomini che hanno fatto della passione per le competizioni, specie in anni in cui correre era decisamente una questione pericolosa, la loro vita, il loro modo per inseguire quella soddisfazione e quel senso dell’esistenza che ognuno di noi rincorre nelle cose che fa. “Piloti, che gente!” titolò tempo fa un suo libro Enzo Ferrari. Ed in effetti non di rado, scorrendo gli annali della Formula Uno si incontrano figure interessanti e singolari, spesso protagonisti di vicende umane appassionanti e segnate da fatidiche sliding doors,quegli eventi fortunati o sfortunati la cui “essenza” travalica la semplice logica delle cose. Per questo, con meno velleità di Ron Howard – che ha fatto con lo splendido film Rush esattamente la stessa cosa con la romanzesca vicenda Lauda-Hunt – cercherò di tanto in tanto di “riesumare” qualcuna di queste storie.

Lo spunto per la prima mi viene da una ricorrenza: il 18 ottobre 1933, esattamente ottanta anni fa, nasceva a Torino, Lodovico Scarfiotti, uno dei più interessanti e completi piloti italiani di quella generazione che ebbe la sua punta di diamante in Lorenzo Bandini – altro grande personaggio che prima o poi meriterebbe un approfondimento tutto suo – e che segnò le corse degli anni ’60. Il nome di Scarfiotti è indissolubilmente legato a quell’assolato pomeriggio del settembre 1966 in cui vinse al volante di una Ferrari il Gran Premio d’Italia a Monza, unico successo della sua carriera nel Campionato Mondiale di Formula 1, ma una vittoria che da sola vale una carriera intera, anche per l’incredibile contesto in cui si concretizzò. Una vittoria storica: dopo di lui, nessun altro pilota italiano su una “Rossa” ha mai più trionfato a Monza, anche se in un paio di occasioni ci è andato vicino il compianto Michele Alboreto che fu tra l’altro l’unico dopo di lui a vincere Gran Premi con la Ferrari, il primo dei quali fu a Zolder nel 1984, diciotto anni dopo Scarfiotti. E non solo: per ritrovare un nostro connazionale sul gradino più alto del podio in un Gran Premio bisognerà aspettare altri dieci anni, quando Vittorio Brambilla vinse il Gran Premio d’Austria 1976 con la March. Lodovico Scarfiotti aveva iniziato a correre per puro divertimento verso la fine degli anni ’50 sfruttando i suoi legami di amicizia con la famiglia Agnelli che ne aveva sostenuto gli esordi con le piccole Fiat 1100. Nonostante la sua estrazione da pilota “amatoriale”, Scarfiotti entrò già nel 1960 nella scuderia sportcar Ferrari dove rimase per sette anni che furono costellati da grandi trionfi, compreso quello nella 24 Ore di Le Mans del 1964 in coppia con Bandini. Stranamente però, Scarfiotti fu “promosso” nel team F.1 solo saltuariamente, con qualche rara e poco efficace apparizione.  Nel 1966 la situazione alla Ferrari era difficile.John Surtees, campione del Mondo con Maranello nel 1964, aveva lasciato il team a metà stagione, indispettito – e non completamente a torto – soprattutto dal grande impegno della scuderia nelle competizioni sportcar – al tempo estremamente popolari – che penalizzava il team di F.1. Bandini fu promosso prima guida e gli fu affiancato il pilota-collaudatore inglese Mike Parkes. A Monza, dopo una stagione abbastanza deludente con la “” in netta difficoltà, Enzo Ferrari decide di schierare una terza vettura per Lodovico Scarfiotti, che aveva qualche settimana prima portato ad un insperato quarto posto al GP di Germania sul circuito del Nurburgring la “”, una macchina progettata per le gare in Formula Tasman dalla cilindrata inferiore alle altre F.1 e che era stata iscritta solo per essere collaudata. La gara di Monza si trasformò in una inattesa e quasi incredibile cavalcata vincente: Mike Parkes conquistò la pole con Scarfiotti secondo. Bandini ebbe problemi di accensione e si ritirò al 33° giro; l’inglese, ligio agli ordini di scuderia, lasciò così il passo a Scarfiotti, come aveva stabilito il Drake nel definire le “gerarchie” prima della gara e i due tagliarono il traguardo in parata. Una incredibile vittoria. L’entusiasmo fu tale che la strepitosa squadra Bandini-Scarfiotti-Parkes fu confermata in blocco per la stagione successiva con serie velleità di vincere il Campionato del Mondo. Purtroppo il 1967 fu un anno nero per la Ferrari: Lorenzo Bandini morì in pista a Monaco e poco dopo Mike Parkes – con cui Scarfiotti era appena giunto secondo a Le Mans – ebbe un gravissimo incidente a Spa-Francorchamps che ne chiuse la carriera. Lodovico subì molto questi due colpi e, dopo un pesante diverbio con Enzo Ferrari, lasciò la Scuderia a metà stagione. Trovò un volante alla Cooper per il 1968 e firmò con la Porsche per le gareggiare a Le Mans: fu proprio la casa di Stoccarda che lo iscrisse ad una corsa in salita – una specialità dove era fortissimo e fu più volte campione europeo – a Rossfeld, durante la quale andò inspiegabilmente dritto in una curva a gomito centrando un muro e rimanendo ucciso sul colpo, l’8 giugno 1968.