Abbiamo tentato di gufarlo, di esorcizzarlo, di parlare d’altro. Adesso, dopo lo show di Nuova Delhi, l’ennesimo successo, il burn out dopo l’arrivo e il suo ingresso di diritto nella storia è arrivato il momento di parlare di lui: Sebastian Vettel. Quattro volte campione del Mondo a 26 anni. Mai vista una cosa del genere, al di là della fantastica macchina disegnata per lui da Adrian Newey e della fantastica squadra di Chris Horner ed Helmut Marko che lo ha reso quello che è. Insomma, se la Formula 1 moderna, così tecnologica e spersonalizzata, ha un personaggio dall’immenso talento capace di far rivivere le figure dei leggendari piloti del passato, questi è senza dubbio Sebastian Vettel. Ed è curioso notare come la Germania, grandissima protagonista dell’automobilismo pionieristico fra le due guerre, capace di sfornare straordinari personaggi come Hans Stuck, Bernd Rosemeyer, Rudi Caracciola, Manfred Von Brauchitsch o Hermann Lang ma rimasta incredibilmente povera di talenti dopo il rovinoso ultimo conflitto mondiale – se si eccettuano Wolfgang Von Trips e qualche interessante ma poco vittorioso pilota degli anni ’70 – sia adesso invece una incredibile fucina di talenti in grado di sostituire negli annali chi sembrava insostituibile, ovvero l’immenso Michael Schumacher. Che Vettel non fosse un pilota come tutti gli altri lo si capì piuttosto presto: penultimo di quattro fratelli, aveva come idoli della sua infanzia Michael Schumacher e Michael Jackson; provò a fare il cantante ma realizzò presto di non avere abbastanza talento: per questo, e anche per i risultati scolastici non eccelsi, si dedicò all’altra sua passione, i motori. A otto anni iniziò la sua avventura con i kart ottenendo vari successi passando nel 2003 al campionato tedesco di Formula BMW che l’anno successivo, a 17 anni appena compiuti, vinse ottenendo 388 dei 400 punti massimi realizzabili. Nel giro di due anni divenne protagonista del Campionato Europeo di F.3 rimanendo sempre nell’orbita della BMW. La casa tedesca nel 2006 rilevò la scuderia Sauber tentando con grandi ambizioni il salto in Formula 1 e Sebastian Vettel era nel novero dei giovani piloti che si alternavano come terza guida del Team dietro ai titolari Jacques Villeneuve e Nick Heidfeld. Al GP del Canada dell’anno successivo, Robert Kubica – altro giovane in ascesa che aveva scalzato Villeneuve – ebbe un grave incidente che lo costrinse a saltare la gara successiva ad Indianapolis. “Seb” ebbe così la grande occasione di debuttare da titolare: fra lo stupore generale fu settimo in prova e chiuse ottavo in gara nonostante un paio di escursioni sull’erba. Il tedesco centrò così il primo dei suoi grandissimi record: a 19 anni, 11 mesi e 14 giorni è tuttora il più giovane pilota della storia ad aver segnato punti in classifica del Campionato Mondiale. Quella gara fu la chiave della sua carriera. A fine luglio la scuderia Toro Rosso – satellite della anglo-austriaca Red Bull, fondata sulle ceneri della vecchia Jaguar dal “magnate delle bevande energetiche” Dietrich Mateschitz – licenziò l’americano Scott Speed ed offrì il volante al giovane Sebastian. La BMW commise il capitale errore di lasciarlo partire – una valutazione clamorosamente sbagliata che avrà nel tempo conseguenze rovinose e che porterà alla uscita di scena della casa di Monaco di Baviera nel 2009 – e Vettel entrò definitivamente nell’orbita Red Bull, sotto l’ala di Helmut Marko. Dopo alcune gare di ambientamento, Seb si inventò una strepitosa prestazione nel GP del Giappone, nel corso del quale fu anche in testa ma che si concluse con un errore di inesperienza che lo vide tamponare la McLaren di Lewis Hamilton quando era terzo. Nella gara successiva in Cina chiuse al quarto posto e si guadagnò la conferma per la stagione 2008. La piccola Toro Rosso, che altri non era che la storica Minardi rivitalizzata dai capitali Red Bull, affrontò la nuova stagione forse non consapevole di quale incredibile talento avesse a disposizione. Le prestazioni di Seb seguirono un crescendo impressionante nel corso della stagione: Vettel “macinò” il compagno di squadra Sebastien Bourdais, approdato in F.1 con grandi credenziali dopo una lunga serie di successi nella F. Cart americana, e si dimostrò uno dei pochissimi piloti che riusciva veramente a far contare il suo “piede” più che la sua macchina. Il capolavoro fu al GP d’Italia a Monza. Durante le prove, complice una pioggia battente, Vettel staccò una incredibile pole position che lasciò sbigottito tutto il circus: ma quello che accadde la domenica in gara fu al limite della fantascienza. Sebastian partì primo sotto la pioggia e fra la sorpresa generale, contro ogni pronostico nonostante il progressivo asciugarsi dell’asfalto, mantenne facilmente la sua piccola “ex-Minardi” davanti a McLaren, BMW, Ferrari e Renault dominando la corsa e diventando a 21 anni, due mesi e 11 giorni il più giovane pilota nella storia della F.1 ad avere vinto un Gran Premio. Da qui, l’”obbligato” passaggio alla Red Bull dal 2009. Il resto è storia e forse, fra qualche anno, diventerà leggenda. Una storia che adesso rincorre nuovi record e impone nuovi confronti con gli assi del passato, queste improbabili ed eccitanti classifiche tra i grandi della F.1 che piacciono tanto a noi esegeti della materia. Dove arriverà Sebastian Vettel? Vedremo. Intanto sappiamo dove è arrivato: ad essere il miglior pilota del mondo e l’uomo da battere per il prossimo futuro.



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