Hai voglia a tentare di parlare di altro. Non è certo cosa facile, di questi tempi. Perché la Formula 1 si è da qualche mese trasformata in un trofeo monomarca, anzi mono-pilota, la Formula Vettel. C’è infatti questo tizio biondo e non particolarmente fotogenico che, grazie alla sua Red Bull che sembra uscita da un film di fantascienza, monopolizza le gare, gioca a rimpiattino con gli avversari, li illude e poi li riacciuffa, li aspetta e poi li lascia al palo. Insomma, fa quello che vuole. Quindi, dal momento che tutto ciò non fa più notizia, né lo fa l’arrancare annaspante della Ferrari ormai proiettata sul 2014 e che ieri non si è potuta consolare nemmeno pensando al figliol prodigo Kimi Raikkonen protagonista di un week-end da dimenticare, né che la Mercedes abbia vinto la gara “dei normali”, né che Mark Webber abbia per l’ennesima volta visto sfilare via il compagno di squadra alla partenza come se gli avessero messo il mastice nel motore, né che ogni giorno i rumors di mercato mettano Fernando Alonso su una macchina diversa nel 2015, cerchiamo di svagarci un po’ con i numeri. Perché Seb, che sta riscrivendo gli annali della Formula 1, è ad un passo dall’abbattere un altro storico record: con la gara di Abu Dhabi il tedesco ha infatti vinto per la settima volta consecutiva eguagliando il record precedente detenuto da due mostri sacri della Formula 1, Alberto Ascari e Michael Schumacher. Siccome se dovessi scommettere un euro su chi vincerà la prossima gara di Austin sceglierei in modo assai poco fantasioso Vettel, il suddetto record è a serio rischio di estinzione. L’inossidabile Schumi ottenne il primato nel bel mezzo del suo “quinquennio d’oro” alla corte di Maranello, in quel che lo vide stabilire un altro primato che Vettel può eguagliare in questa stagione, quello dei Gran premi conquistati nello stesso Campionato: ben tredici. Ma siccome sono un inguaribile romantico e siccome la maggior parte di voi lettori appassionati sa tutto o quasi tutto di Michael Schumacher, quale miglior appiglio per me la circostanza presente per rievocare la figura di Alberto Ascari, il più grande pilota italiano del dopoguerra, ultimo nostro connazionale a vincere il Campionato Mondiale di Formula 1 più di cinquant’anni fa? La sua morte a Monza, il 26 maggio 1955, esattamente trenta anni dopo quella di suo padre a Montlhéry, durante il GP di Francia, resta tuttora avvolta nel mistero. Talento naturale straordinario a dispetto di un fisico non esattamente atletico, Alberto Ascari iniziò a correre con le motociclette ma nel 1940 fu chiamato da un vecchio compagno di squadra di suo padre a portare in corsa, nella Mille Miglia, una anonima vettura rossa che si chiamava “Auto Avio”: quell’uomo era Enzo Ferrari che non poteva ancora costruire auto con il suo nome per un accordo commerciale con la sua ex-squadra, la Alfa Romeo. Superato il conflitto mondiale, il binomio Ascari-Ferrari fu uno dei più strepitosi connubi sportivi mai visti su una pista. Fu proprio il biennio il teatro del record di Ascari che ha, in sé, veramente del clamoroso. Per rendere un’idea di cosa accadde basti ricordare che nel 1952, il milanese vinse tutte le gare in cui partecipò, rimanendo in testa dall’inizio alla fine di ognuna di esse. Non vinse soltanto in Svizzera ma semplicemente perché rinunciò alla gara per tentare una coraggiosa ma sfortunata partecipazione alla 500 Miglia di Indianapolis, lasciando così la vittoria al compagno di squadra Taruffi. Nel ’53 conquistò il settimo sigillo consecutivo col trionfo in Argentina. In quel biennio conquistò i due titoli Mondiali vincendo 11 delle 14 gare in calendario, ovvero quasi l’80% di esse. Anche per questi straordinari successi, il suo divorzio dal Cavallino con conseguente passaggio alla Lancia per la stagione ‘54, fu un vero terremoto per il mondo delle corse. Dopo un deludente anno di transizione passato a mettere a punto la nuova macchina, le aspettative per il ’55 erano fortissime e la stagione doveva vivere sul duello Lancia-Mercedes, ovvero Ascari-Fangio. In Argentina Ascari dominò la corsa fino a quando un’asperità del terreno non lo fece uscire violentemente di pista. A Monaco era nettamente primo fino al celebre incidente nella zona del porto a causa del quale finì in mare con tutta la vettura e fu ripescato dall’acqua scosso ma miracolosamente illeso. Lui che aveva avuto rarissimi incidenti, subì molto il contraccolpo di questi due così ravvicinati e forse proprio per esorcizzarli, contro il parere dei medici, cinque giorni dopo il “botto” di Montecarlo, volle provare a Monza la Ferrari Sport che Eugenio Castellotti doveva guidare al GP Supercortemaggiore di Modena. Fu lì che trovò la morte, senza testimoni, nella curva che ora porta il suo nome. L’Italia non trovò più da allora, un così straordinario talento.