Insomma, diciamo che avevamo sperato/sognato qualcosa di meglio come esito del Gran Premio di Monza. E in realtà ci si credeva davvero. C’erano i presupposti per crederlo, almeno. Il motore Ferrari fortissimo sulle piste veloci, la storica, seppur relativa, difficoltà Red Bull a Monza, la convinzione e la determinazione degli uomini del Cavallino, il “desiderio collettivo” degli sportivi italiani che una svolta ci sarebbe stata. Ed eccoci qui, a conti fatti, a raccontare una nuova vittoria, la trentaduesima in carriera, di Sebastian Vettel e della Red Bull, ormai lanciati come un Pendolino in corsa verso il traguardo del quarto titolo Mondiale consecutivo. A Monza, il grande Seb, rinverdendo la straordinaria impresa che lo consacrò campione quando vinse con la Toro Rosso nel 2008, ha semplicemente acceso la sua macchina, staccato il miglior tempo nelle prove libere e nelle qualifiche del sabato, è partito in testa, ha controllato gli avversari, spinto quanto serviva per tenere le distanze da eventuali seccatori e vinto con la naturalezza di un campione. A dirla proprio tutta, quindi, anche dopo il Gran Premio d’Italia il sospetto ormai sta in noi prendendo sempre più piede: Sebastian Vettel è in questo momento – anche mentalmente – il miglior pilota del Mondo, ha un talento paragonabile a quello dei migliori di sempre e forse è il momento di ammetterlo. Perché se anche è vero che la Red Bull rimane una macchina eccellente, Marc Webber, ovvero un pilota “normalmente bravo” che ne dispone di una uguale, viene regolarmente battuto da Alonso. Fernando ci ha provato, ha sfoderato una prestazione solida, con una grande partenza e ha resistito agli attacchi di Webber per portare a casa il secondo posto. Ma ha dato la sensazione di avere ottenuto il massimo possibile il che, in linea generale, può essere anche un complimento ma se il massimo significa essere ancora battuto da colui al quale dovevi recuperare quasi cinquanta punti in classifica, non c’è da gioire. E il nervosismo di Alonso, senza tornare sulle polemiche dopo la frase non certo di apprezzamento pronunciata in diretta televisiva contro il proprio muretto box, è probabilmente proprio derivante dalla presa di coscienza che il Mondiale è praticamente perso e, probabilmente, non solo perché la sua macchina è inferiore, ma anche perché, almeno adesso, Vettel è più forte di lui. Anche l’idea della Ferrari di affiancargli in pista il prossimo anno non un “secondo pilota” ma un altro top driver, leggi Kimi Raikkonen, lascia pensare che anche i vertici del Cavallino la pensano esattamente così. E qui si riassume l’essenza di un Gran Premio invero poco esaltante dal punto di vista dello spettacolo, se si eccettuano un paio di sorpassi spettacolari nelle retrovie e la solita partenza al cardiopalma. Dietro al “dinamico duo” Vettel-Alonso, menzione d’onore per Marc Webber che ha portato a casa un meritato podio e anche per Felipe Massa che tuttavia lascia sempre in bocca un sapore un po’ insipido, come una pasta con un sugo molto buono a cui manca sfortunatamente quel pizzico di sale. Bravissimo Nico Hulkenberg, la cui maturità agonistica ormai raggiunta, testimoniata dalla netta supremazia sul compagno di squadra Gutierrez, meriterebbe ormai l’approdo ad una grande squadra. Ampiamente in rosso il bilancio degli altri big: dalle impalpabili Mercedes alle sbiadite Lotus alle mai pericolose McLaren, tutte dietro la Sauber e lontanissime da Red Bull e Ferrari. Concedetemi una digressione. So che adesso passerò per il solito nostalgico che dice “si stava meglio quando si stava peggio” cosa che, spesso, è un luogo comune. Però io lo dico lo stesso e prendetelo per quello che è. Oggi ero appostato fra le due curve di Lesmo, a pochi metri dalla pista. Ho sentito diverse “voci popolari” che scegliendo i gradini della tribunetta nei pressi del mio posto commentavano il fatto che a Lesmo “si misura il piede e lo stomaco del pilota”. Ed è vero, lo penso anch’io. Bene, ho assistito a quattro gare: la GP3, la GP2, la Porsche Supercup e la F1. In tutto il giorno non ho visto una correzione di traiettoria, un sovrasterzo, un controllo difficile. Come se tutti procedessero su invisibili binari. I casi, quindi sono due: o i piloti di oggi sono tutti fenomeni magari grazie ai simulatori, o le macchine sono troppo facili, uguali fra loro e ripetitive. Nulla da dire contro il progresso della tecnica, ma perché tutta questa ricerca di spettacolarità delle gare, invece che in complicazioni e limiti regolamentari, non potrebbe passare dal riscoprire “il pilota”, il “capitale umano” dell’automobilismo? Fino a qualche tempo fa Monza era una pista in cui il numero dei sorpassi era elevatissimo: oggi non se ne è visto quasi nessuno. Peccato. Perché una pista come Monza nasce per il sorpasso ed in esso si sublima. Ultima noterella personale: in tutto il giorno ho visto solo un pilota attaccare – e superare – qualcuno in staccata alla seconda di Lesmo: era Emanuele Pirro, 51 anni, nella gara di Porsche Supercup. Non importa che sia finito lungo alla Parabolica a due giri dalla fine: la classe non è acqua, e non ha età