Si dice spesso che i numeri non dicano tutto. Ed in genere ciò corrisponde a verità. Le fredde statistiche, i calcoli matematici, forse nemmeno i grandi record possono sviscerare ed esaurire tutta la carriera, la fortuna, la personalità, il coraggio o la grandezza di un pilota. E spesso non possono misurarne neppure l’effettivo talento. Ma se siamo di fronte a Michael Schumacher è probabilmente il caso di fare un’eccezione. Perché forse come mai in questo caso i numeri parlano chiaro, rendono l’idea, coprono gli spazi dei commenti, leggono la realtà. I numeri ci dicono che siamo di fronte al pilota più vincente della storia, all’uomo dai sette Titoli Mondiali, dalle novantuno vittorie – il doppio di Prost, secondo in graduatoria – l’uomo dei record di pole position, di podi e perfino di numero di giri in pista passati al comando, oltre cinquemila. L’uomo che ha riportato ai vertici la Ferrari dopo anni di sconfitte e che ha frantumato tutti i record della casa di Maranello, legando indissolubilmente il suo nome al Cavallino. Un uomo che non sembrava essere stato baciato dallo straordinario carisma di Fangio, dal cristallino talento di Clark, dal fascino misterioso di Stewart, dalla freddezza calcolatrice di Lauda, dalla meticolosità di Prost, dalle meravigliose doti naturali di Senna o dalla capacità di trascinare le folle di Villeneuve. Ma la verità è che Michael Schumacher era in pista uno straordinario mix di tutte queste caratteristiche: velocissimo sul giro secco eppure infallibile, preciso e costante sulla distanza, straordinario collaudatore e preparatore delle sue vetture, abile tattico e calcolatore quanto basta ma capace di rischiare tutto quando serviva. Michael Schumacher, un campione ma anche un grande professionista, compie oggi 45 anni. E questa sarebbe stata una splendida occasione per ripercorrere la sua traiettoria agonistica, celebrarne il ricordo ed i successi e magari soppesarlo nella galleria dei più grandi di sempre di questo spietato sport che sono le corse in macchina. Si poteva aprire una gustosa dissertazione sul “se” e sul “quando” il suo pupillo Sebastian Vettel, che ha mosso i primi passi – o meglio, percorso le prime curve – da ragazzino su un kart nella pista di Kerpen gestita da sempre dal padre dei fratelli Schumacher, arriverà mai ad infrangere i suoi infrangibili record. Ed invece in questo strano compleanno che il destino ha voluto che Michael passasse sospeso tra la vita e la morte in una stanza di ospedale di Grenoble, è necessario parlare del suo presente e del suo futuro, non del suo passato come scrivendo un necrologio. Ed il presente sembra quasi avergli consegnato una dimensione nuova, a lui perfino sconosciuta. Era stato osannato, rispettato, temuto, considerato il migliore, fonte di ispirazione e punto di riferimento, ma mai veramente amato fino in fondo, forse per via delle sue vittorie spesso altrettanto noiose di quanto sono siano state quelle recenti della Red Bull, forse per quella apparente testardaggine con cui si ripresentò in pista a quarant’anni con la Mercedes o forse per il suo carattere così pragmaticamente teutonico che conobbe un solo guizzo “latino” quando soffiò al compagno di squadra Heinz-Harald Frentzen la fidanzata ai tempi dello junior Team Mercedes: Corinna, che sarebbe diventata sua moglie. Insomma, adesso che Michael è di fronte ad un dramma come un uomo qualunque, scopre di essere anche amato dagli appassionati, dai colleghi, perfino da chi non si è mai occupato di corse automobilistiche e adesso si informa puntualmente sull’evolversi della situazione. Ne ho le prove, l’ho visto con i miei occhi. Anche la Ferrari gli ha dedicato sul suo sito una fotogallery su ciascuno dei suoi 72 successi con la Rossa. Ecco perché il 3 gennaio 2014 non è tempo di retrospettive e ricordi. Ma di guardare al futuro. E appena Michael sarà tornato quello che era, scriveremo un bell’articolo di puro amarcord, per festeggiare il suo 46° compleanno.