Forse sono un po’ diverso dagli altri. Certo, non è che non mi piacciano le belle ragazze, lo champagne e le avventure folli. Però mi trovo bene soprattutto a casa mia, con i miei dischi, la mia fidanzata Kristine ed i miei libri. E mi piace, soprattutto, poter stare vicino a mia madre. In questa confidenza concessa pochi mesi prima del manifestarsi dell’implacabile malattia che lo porterà alla morte, emerge tutto Gunnar Nilsson, il contrario dello stereotipo del pilota-viveur tanto glamour verso la fine degli anni ‘70. Schivo, affabile, elegante, colto, Nilsson parlava correntemente cinque lingue e spesso nella sua casa erano ospiti scienziati, artisti e scrittori: rimase orfano di padre a quattordici anni e la disponibilità economica della sua famiglia non lo costringeva certo a rischiare la vita su una pista. Il padre era un costruttore edile di successo e quando fu il momento di prendere in mano l’industria di famiglia, Gunnar dimostrò tutta la sua capacità manageriale, anche se, in fondo al cuore, continuava a coltivare la sua vera passione: le corse in macchina. Lasciò così al socio la conduzione della sua azienda e si imbarcò in una carriera da professionista del volante. La sua ascesa nel panorama motoristico europeo fu repentina, in accordo con il talento cristallino e la fermezza di carattere che contraddistinguevano il ragazzo di Helsingborg. Fraterno amico di Ronnie Peterson e di Rejne Wisell, iniziò la carriera nel 1973 e nel giro di due sole stagioni vinse i titoli britannici di Formula 3 e Formula Atlantic, nonostante la relativamente scarsa esperienza. Alla prima gara in assoluto in Formula 2 con una GRD privata finì quarto. Tanto bastò per destare l’interesse di Colin Chapman che, grazie anche alla mediazione di Peterson, lo ingaggiò per il 1976 in Formula 1. Il divorzio fra Chapman e Peterson poco dopo l’inizio della stagione lo mise un po’ in difficoltà, ma Gunnar, talento vero, seppe riprendersi al meglio e, solo alla terza partecipazione, finì sul podio a Jarama. La vettura di quell’anno della Lotus era veloce ma fragile ed era spesso vittima di cedimenti meccanici: ciò non impedì a Ken Tyrrell di dichiarare in una intervista di aver visto in lui il profilo di un futuro Campione del Mondo. Nel ’77 formò una coppia affiatata con Mario Andretti e vinse il suo primo Gran Premio a Zolder, sotto una pioggia torrenziale grazie ad uno strepitoso sorpasso al 50° giro su Niki Lauda. Ma a metà stagione gli venne diagnosticato un cancro ai testicoli: inizialmente non lo disse a nessuno, nonostante le sue prestazioni cominciassero a calare, perché il corso della malattia sembrava essere sotto controllo. Colin Chapman, all’oscuro di tutto, non lo confermò per il 1978, preferendogli il vecchio mentore Peterson e Gunnar firmò un contratto con la Shadow, seguendo poi la “scissione” che, da quest’ultima, diede vita alla Arrows. Nel corso dell’inverno però, la malattia progredì in maniera repentina: in Brasile Nilsson non si presentò, pur iscritto, e rivelò pubblicamente il proprio stato di salute.

Combatté strenuamente, concedendo frequenti interviste per raccontare la sua storia e chiedere finanziamenti per la ricerca. Scrisse una lunga lettera aperta con cui incitava i suoi amici di istituire una fondazione che si occupasse di raccogliere fondi a tale scopo. Ma il 20 ottobre di 36 anni fa, in un ospedale nei pressi di Londra, morì, poco prima di compiere trent’anni. Poche settimane prima era apparso pubblicamente per l’ultima volta al funerale del suo amico Ronnie Peterson, morto tragicamente a Monza l’11 settembre. La Svezia perse così, nel giro di pochi mesi, i suoi due più grandi talenti mai espressi nell’automobilismo sportivo. Dal 1979 sparì dai calendari del Mondiale anche il GP di Svezia. La fondazione che porta il nome di Gunnar Nilsson e costituita da sua madre Elizabeth opera tuttora nel campo della lotta contro il cancro e del supporto alla ricerca.