Alla fine il giovane belga Stoffel Vandoorne non è riuscito a completare nemmeno un giro “vero” alla guida della sua vettura. E non ci sono certo particolari indicazioni tecniche che si possano trarre da questa circostanza. Ma quello che è certo è che la McLaren M29/H sperimentale che montava la primissima versione del nuovo motore Formula 1 della Honda e che si è presentata nella prima giornata dei test post-stagionali (una trovata davvero geniale, una volta c’erano i test pre-stagionali…) sul circuito di Yas Marina, ha catalizzato l’attenzione di tutti. McLaren-Honda: un binomio che evoca un passato glorioso, carico di trionfi, di lotte, di rivalità di personaggi – su tutti Senna e Prost – che suonano indubbiamente affascinanti. E non c’è dubbio che il ritorno in F1 del colosso giapponese sia una buona, ottima notizia a prescindere. La storia della Honda nelle corse è lunga, incredibile e merita di essere raccontata. E’ fata di una continua alternanza di alti e bassi, di rinunce, di ritiri e di ritorni improvvisi. Come in un amore tormentato ed intenso. Soichiro Honda è stato senza dubbio uno dei più visionari e coraggiosi imprenditori del Sol Levante: nel 1948 trasformò la sua azienda, nata undici anni prima come produttrice di parti componenti per la Toyota, intuendo la necessità di mezzi di trasporto di facile diffusione per il Giappone del dopoguerra ed inventando il concetto di ciclomotore, applicando un motore leggero al telaio di una bicicletta. Il suo spirito innovativo e la sua intuizione lo fecero diventare in breve tempo leader mondiale nella produzione di motociclette e, anche qui con notevole anticipo rispetto ai suoi tempi, fin da subito egli intuì l’importanza per l’azienda che avevano le corse internazionali, rompendo così l’isolamento pressoché assoluto che aveva vissuto l’industria giapponese fino a quel momento. La Honda debuttò nel Motomondiale nel 1959 all’Isola di Man e nel 1961 ottenne le prime vittorie grazie a Mike Hailwood. Nel 1960, Honda si lanciò nella produzione anche di autovetture e per questo, sulla scia di quanto già fatto con le moto, decise subito di utilizzare la Formula 1 come cassa di risonanza per la nuova business unit della sua azienda. Soichiro fece costruire sotto la direzione tecnica di Yoshio Nakamura un primo prototipo che fu denominato RA270. Questa vettura non fu mai utilizzata in gara, ma ebbe una notevole importanza nello sviluppo delle successive Honda da Gran Premio. Aveva una tanto curiosa quanto evidente singolarità costruttiva: ciascun cilindro del V12 Honda che la equipaggiava era dotato di uno scarico indipendente, l’insieme dei quali formava uno dei più strani retrotreni che la Formula 1 abbia mai visto. Per capire quanto innovativa fosse l’idea di Honda nel panorama nipponico, ecco un piccolo aneddoto: narra la leggenda – e qui mai più locuzione fu appropriata – che quando il capo della struttura di ricerca di Saitama, Hideo Sugiura, nel maggio del 1962 ricevette un messaggio da Yoshito Kudo, capo della R&D, che recitava: “Abbiamo pianificato di entrare in F.1, tu sei stato nominato a capo del progetto“, la originale risposta fu: “Che cos’è la F.1? Ho visto qualche foto ma ignoro di che cosa si tratti. Potete darmi qualche informazione in più?“. La risposta fu di Soichiro Honda in persona: “Non ne so molto nemmeno io, ma non è un problema. Tutti, all’inizio, sono dei principianti“. Iniziò così un lungo rapporto fra la casa di Tokyo e la massima serie automobilistica che ha attraversato diverse fasi ed oltre quattro decadi. La prima fu quella gestita direttamente dal fondatore: dopo un primo progetto andato fallito in joint-venture con la Lotus e Colin Chapman, Honda presentò in pista la sua prima vettura nel 1964, nella caratteristica livrea bianca e rossa e rimase sulle scene per cinque stagioni, cogliendo due vittorie con Ritchie Ginther e John Surtees, ma uscendo di scena al termine del Campionato ’68 segnato dalle polemiche in seguito all’incidente mortale di Rouen del campione francese Jo Schlesser alla guida della innovativa e discussa RA302. La “seconda stagione” della Honda fu quella, gloriosa, da fornitore di motori, iniziata con la produzione del turbo V6 che equipaggiò la Williams dal 1983. Fu ancora Soichiro Honda a benedire il ritorno alle competizioni nelle quattro ruote: l’illuminato industriale, di fatto padre dell’industria motociclistica moderna, morì nel 1991 a 84 anni. La stagione da motorista della Honda, proseguita del 1989 con i motori aspirati, si chiuse al termine del 1992 con una serie incredibile di trionfi: 69 vittorie con Williams, Lotus e McLaren e sei titoli mondiali consecutivi fra il 1986 ed il 1991, periodo nel quale l’egemonia del motore giapponese fu pressoché totale. Così, quando la Honda annunciò il proprio ritorno in F.1 come fornitore di motori alla in vista della stagione 2000, le aspettative erano inevitabilmente enormi. Tuttavia le difficoltà furono ben più di quanto ci si potesse prevedere e furono necessari quattro anni per arrivare ad una competitività di buon livello: la stagione 2004, pur senza vittorie, fu eccellente e ciò convinse il colosso di Tokyo a rilevare in prima persona la BAR e a trasformarla nella “terza generazione” Honda in F.1. C’è da dire che probabilmente i successori del grande Soichiro non avevano per le corse il feeling ed il fiuto del loro fondatore.
Il barometro sembrò volgere definitivamente al bello nel 2006, quando una ottima stagione di esordio fu coronata dalla vittoria di Jenson Button al GP di Ungheria, 39 anni dopo il trionfo di Surtees a Monza. Fu però un fuoco di paglia: scelte sbagliate ed errori di progettazione, nonché l’ultima e piuttosto ridicola Honda “ecologica” del 2008 portarono risultati disastrosi e non accettabili a fronte degli enormi esborsi sostenuti. Così, con una decisione tanto improvvisa quanto sorprendente, il board scelse di chiudere i battenti del reparto corse in vista della stagione 2009. Fu però un altro grossolano errore: la Honda aveva infatti da poco ingaggiato Ross Brawn come direttore tecnico ed il genio che fece anche la fortuna della Ferrari aveva progettato una nuova vettura per il 2009 al posto della disastrosa RA108 dell’anno precedente. Di fronte all’improvvisa defezione dei suoi datori di lavoro, Brawn ebbe l’intuizione che il suo progetto fosse valido e rilevò tutta la scuderia, strutture, tecnici, piloti e vetture compresi, per la cifra simbolica di un dollaro, con la Honda ben felice di non doversi sobbarcare l’onere di liquidare dipendenti ed onorare ricchi contratti. Quella che avrebbe dovuto essere al Honda RA109, divenne invece la Brawn GP e condusse Jenson Button ad uno dei titoli mondiali più incredibili ed imprevisti della storia dell’automobilismo. Brawn cedette l’anno successivo tutta la scuderia alla Mercedes a peso d’oro, facendo uno dei più grossi affari della sua vita. Ma al di là di questi rovesci, non v’è dubbio che il marchio Honda sia uno dei più importanti e prestigiosi del motorismo mondiale, con un ruolo fondamentale nella storia dell’automobilismo e del motociclismo sportivo. Forse proprio per questo la storia d’amore fra Honda e Formula 1 non poteva esaurirsi con gli inglorioso fatti del 2009, ma doveva vivere una nuova stagione. Quella iniziata oggi. “La quarta volta” della Honda…