Caro Jean Todt, qualche giorno fa ho ascoltato un’intervista nel quale commentavi – dal punto di vista tuo e della Federazione della quale tieni in mano le redini – quanto si è potuto intravedere in queste prime sessioni di prove contingentate concesse alle scuderie in vista della prossima stagione di Formula 1. La frase ad effetto con cui il tuo pensiero veniva riassunto dai commentatori era più o meno: “Abbiamo messo il turbo allo show“. Orbene caro Jean, non ci sono dubbi che il livello di interesse e di curiosità intorno a questa nuova stagione sia aumentato in funzione del rimescolamento delle carte dettato dalle nuove regole. I cambi periodici nei regolamenti ci sono sempre stati, hanno spesso portato effetti positivi, hanno costretto i progettisti ad aguzzare l’ingegno, portato i piloti a scoprire di sé stessi capacità e limiti nuovi, creato possibilità tecniche inattese e, in ultima analisi, spesso portato spettacolo. E questo non va negato. Anzi, indubbiamente qualcosa di positivo si è visto: la creatività costruttiva, per esempio, sparita ormai da anni dietro alle telemetrie e al computer design, la centralità del motore, di recente diventato sempre meno importante rispetto ai particolari aerodinamici per incidenza sulle prestazioni delle vetture, l’importanza dell’affidabilità che da tempo non era un fattore con macchine che non si rompevano praticamente mai ed arrivavano come nelle piste elettriche degli anni ’80 sempre a destinazione, salvo uscite dal binario per errori del pilota. Tutto ciò, insieme ad una buona dose di incertezza e alla possibilità che alcuni “comprimari” – magari dal passato glorioso come la Williams – hanno di salire alla ribalta, è senza dubbio positivo. Ma mi permetto di farti notare una cosa che ritengo piuttosto importante. Direi decisiva. La Formula 1 non è uno “show”. L’automobilismo non è il Grande Fratello, non è una fiction né tantomeno qualcosa di simile ai Giochi Senza Frontiere. L’automobilismo è uno sport. Che ha centodieci anni di storia. Ed è intrinsecamente questo il motivo per cui è uno spettacolo. Sembra una sottigliezza ma non lo è: la crisi di interesse, seppure ancora non eclatante, che vive la Formula 1 non si cura con l’introduzione della casualità a decidere i risultati delle corse, facendo il gioco delle tre carte per nascondere l’asso o raddoppiando – oplà ! – i punti nelle gare decisive. Lo spettacolo, la passione, la bellezza di questo sport puzza dell’odore dei freni consumati dalle staccate al limite, ha il colore dell’olio che sporca le mani dei meccanici, ha il calore del ferro rovente, ha la faccia sudata e i capelli spettinati di un pilota dopo due ore sulla giostra di Montecarlo. E’ da qui che nasce il fascino. Dal frastuono dei motori lanciati al massimo dei giri, dal coraggio, dall’istinto, perfino dall’imprevedibilità del guasto tecnico. Jean, tu vieni da trent’anni di corse: lo “show” non si può reggere sullo spessore di un videogioco, su regole e regolette che aumentano la confusione, che rendono imprevedibili i risultati in pista me che lasciano in chi guarda la stessa sensazione che avrebbe dopo aver assistito ad una puntata di Sanremo. Scusa Jean, ma se nessuno può provare la sua nuova macchina per più di 8 giorni prima di portarla in pista, che fine avrebbe fatto Niki Lauda che vinceva perché le sue macchine erano preparate meglio degli altri? E se fosse stato costretto a montare due mescole diverse di pneumatici per “regolamento”, Ayrton Senna avrebbe vinto in Brasile nel ’91 con il cambio bloccato in sesta? Scusa, ma se avesse preso dieci posizioni di penalizzazione in griglia ogni sorpasso tentato, quante volte sarebbe partito davanti Gilles Villeneuve? Forse era “poco spettacolare” vederlo correre? E perché dobbiamo trasformare la Formula 1 in una sorta di gara di endurance dove sarà necessario “risparmiare benzina” per arrivare in fondo? Hai ragione, forse sto estremizzando…
Ma ho l’impressione che questa deriva regolamentare porterà confusione ed incertezza per un po’ – lo show, come lo chiami tu – per poi ristabilizzarsi di nuovo nella Formula Noia che spesso si è vista ultimamente. Fino almeno alla prossima trovata regolamentare per rianimare lo show, come lo chiami tu. Uno show – come lo chiami tu – che non avrà più personaggi attraenti, ma tanti avatar da videogioco. L’automobilismo è uno sport. E nello sport, al netto della fortuna e della sfortuna, al netto delle grandi sorprese che proprio per essere grandi devono essere rare, in genere vince il migliore. Quello che rischia, quello che va al limite, quello che non molla. Come ha argomentato argutamente qualcuno ben più autorevole di me: non si può chiedere ad un pilota di Formula 1 di guidare come un taxista – con tutto il rispetto per i taxisti – così come non si può chiedere ad un taxista di guidare come un pilota di Formula 1. Speriamo che anche tu, Jean, la pensi così…