Chissà quali sono i meccanismi con cui il Fato gestisce le generazioni dei piloti e come mai, a volte, sembra concentrare in un dato luogo ed in un dato tempo i suoi sforzi per regalare ad una nazione periodi di grandissima prolificità e gloria e stagioni aride di assenza. E’ quello che è capitato all’Italia che oggi vive una sorta di “crisi vocazionale”: la nostra scuola e la nostra tradizione è stata straordinaria fucina di talenti fra le due guerre mondiali, ricchissima di piloti di valore nel primissimo dopoguerra e capace di forgiarne decine fino a tutti gli anni ’60, per poi attraversare un periodo di “buio” quasi inspiegabile fino a quasi tutti gli anni ’70, dove solo qualche nome, come ad esempio quello di Vittorio Brambilla o Arturo Merzario, spiccava in mezzo ad infinite schiere di piloti francesi, britannici, sudamericani e perfino neozelandesi. Poi, quasi d’incanto, irruppe una generazione di ragazzi che riportò l’Italia in massa in F.1 agli albori dell’ottavo decennio del secolo scorso: Bruno Giacomelli, Andrea De Cesaris, Michele Alboreto, Teo Fabi, Mauro Baldi, Piercarlo Ghinzani, solo per citarne alcuni in ordine sparso. Ma il capostipite di quella generazione fu il grande Riccardo Patrese da Padova che, curiosamente, vide tutti quei suoi “compagni di viaggio” uscire dal grande circus ben prima di lui. Infatti, come il grande Graham Hill, Patrese si presentò al via del Campionato Mondiale di Formula 1 per diciassette stagioni consecutive, stabilendo un record – battuto solo nel 2008 da Rubens Barrichello – di 256 Gran premi disputati: la sua carriera fu inoltre tutt’altro che un lungo viale del tramonto, visto che le sue stagioni migliori sono state proprio le ultime quando ebbe la possibilità di guidare da secondo pilota la stratosferica Williams di quegli anni. Il talento cristallino di Riccardo non tardò a manifestarsi: nel 1974, a 20 anni, fu Campione Mondiale di kart e nel 1976, dopo appena due stagioni di esperienza, dominò il campionato italiano ed europeo di Formula 3, destando l’interesse di Don Nicholls, patron della Shadow, che gli fece firmare una opzione di contratto. La tragica morte di Tom Pryce a Kyalami ’77 permise a Riccardo di entrare in Formula 1 al Gran Premio di Montecarlo di quell’anno. Si fece molto presto la nomea di un pilota assai veloce ma anche pericoloso, per i suoi frequenti incidenti e la sua temerarietà. Nel 1978 seguì la diaspora di buona parte dei tecnici della Shadow verso la Arrows e con una scuderia tutta nuova si mise straordinariamente in luce: a Kyalami era saldamente in testa alla corsa quando fu tradito dal suo motore, mentre in Svezia si piazzò secondo dietro a Niki Lauda. A Monza Riccardo rimase però coinvolto nel celebre incidente multiplo che costò la vita a Ronnie Peterson e da più parti – anche da diversi colleghi – fu incolpato di aver innescato la carambola. Fu sospeso per il GP successivo a Watkins Glen e successivamente scagionato dalla Federazione, ma l’esperienza lo segnò profondamente portandolo ad un periodo di crisi. Nel 1981 sembrò ritrovarsi soprattutto nelle corse sport, in cui vinse tre gare del Campionato Mondiale con la Lancia: tanto bastò per entrare finalmente in un top team, la Brabham, per il 1982. A Monaco quell’anno Riccardo vinse la sua prima corsa, nel più incredibile e rocambolesco finale che la storia della Formula 1 ricordi, quando la pallina della roulette del Casino monegasco si fermò sul suo numero dopo che si ritirarono uno dopo l’altro sei piloti davanti a lui negli ultimi due giri. Riccardo vinse ancora a Kyalami l’anno successivo e nel 1984 sposò l’ambizioso progetto Alfa Romeo Turbo: furono però stagioni fallimentari, salvate ancora dalle vittorie con la Lancia nella categoria sport. Al ritiro dell’Alfa tornò alla Brabham, che però era già in fase calante. Quando tutto faceva presagire che la carriera di Riccardo stesse volgendo alla fine, arrivò l’inattesa chiamata della Williams, come spalla di Nigel Mansell, nella stagione 1988. Dopo un anno di transizione legato al poco competitivo motore Judd, il 1989 – segnato dall’accordo fra Williams e Renault – fu l’anno della rinascita: sei podi e il terzo posto in classifica furono solo l’inizio di una serie vincente. Nel ’90 tornò alla vittoria dopo quasi sette anni ad Imola e a Silverstone fu il primo pilota della storia a raggiungere il traguardo dei 200 Gran premi disputati. Nel ’91 e ’92 vinse altre tre gare e in quest’ultima stagione fu vice-campione del Mondo alle spalle del compagno di squadra Mansell. Dopo una ulteriore stagione alla Benetton e nonostante numerose proposte di contratto per il 1994 abbandonò le competizioni a quasi 40 anni. Oggi, il prode Riccardo da Padova compie sessant’anni, essendo nato il 17 aprile 1954: un talento che oggi manca all’Italia del volante.