Il 25 aprile non è una data come tutte le altre per il mondo dell’automobilismo. Per una curiosa coincidenza ben tre piloti oggi nel circus della Formula 1 sono nati in questo giorno: Felipe Massa, Giedo Van der Garde e Jean-Eric Vergne. Ma soprattutto, il 25 aprile 2001 l’Italia perdeva uno dei più amati e forse sottovalutati campioni della sua storia automobilistico-sportiva: Michele Alboreto. La notizia della sua morte giunta come un fulmine a ciel sereno durante una tiepida domenica di primavera lasciò molto scosso il mondo delle corse forse non più molto avvezzo a simili tragedie o forse sorpreso per l’uscita di scena in punta di piedi, lontano dai riflettori che aveva “scelto” Michele. Ma lui era fatto così: il suo carattere schivo e riservato ma nello stesso tempo disponibile e sincero ne avevano fatto un personaggio universalmente amato, dal pubblico e dai colleghi. E questo nonostante fosse tutt’altro che “morbido” quando si sedeva in macchina e impugnava un volante. Aveva uno stile di guida pulito e preciso che sapeva però coniugare con una insospettabile grinta e con la non comune dote di adattarsi intelligentemente alle situazioni contingenti, “leggendo” spesso la gara in anticipo rispetto ai colleghi; Aveva forse nell’incostanza il suo limite principale, ma tant’è: Alboreto è stato l’ultimo pilota italiano ad avere conquistato un Gran Premio al volante della Ferrari, nonché quello che, in anni più recenti, sia andato maggiormente vicino a vincere un Campionato del Mondo, evento che l’Italia attende dall’ormai lontano 1953 e dal grande Alberto Ascari. Michele proveniva da una famiglia “normale” e non disponeva certo di grandi mezzi per sostenere la sua passione per le corse: debuttò in F. Monza nel 1976 grazie alla minuscola Scuderia Salviati con una vettura praticamente autocostruita ed in pochi anni si guadagnò una buona reputazione come uno dei più interessanti prospetti italiani del tempo, scalando le categorie di successo in successo. Venne lanciato in Formula Uno da Ken Tyrrell che lo aveva notato dopo il titolo europeo di F.3 del 1980 e le prime interessanti prestazioni con la Lancia nelle competizioni sportcar. Alboreto ripagò il “boscaiolo” regalandogli gli ultimi due successi in F.1, entrambi in terra americana – a Las Vegas nel 1982 e a Detroit l’anno successivo – che rivelarono tutta la sua sagacia tattica e gli schiusero le porte di Maranello per la stagione 1984, che fu subito molto positiva. Il suo anno d’oro fu tuttavia il , quando contese ad Alain Prost il Titolo Mondiale che perse più per la scarsa affidabilità della sua macchina nella seconda metà della stagione che per suoi effettivi demeriti. Dopo questo inizio a grandissimi livelli la sua carriera subì un imprevisto lungo declino che lo vide passare da tre campionati mediocri alla Ferrari e da altri sei con vetture di media o scarsa levatura – Lola, Arrows, Minardi e Larrousse – fino al definitivo abbandono della F.1 al termine della disastrosa stagione 1995. Fu proprio a partire da quell’apparente titolo di coda che Michele si costruì una “seconda giovinezza” prima nelle popolari serie tedesche turismo e successivamente nelle americane e . Ma fu con l’ingresso nel team Joest-Porsche che conobbe una inattesa e clamorosa rinascita: dopo 12 anni dalla sua ultima vittoria tornò sul gradino più alto del podio, e non fu certo una vittoria qualsiasi, ma il trionfo alla 24 Ore di Le Mans del 1997 in coppia con il suo ex-compagno alla Ferrari Stefan Johansson e col “Re di Le Mans” Tom Kristensen. Passato alla Audi, colse il suo ultimo successo alla 12 Ore di Sebring 2001. Quel 25 aprile sul velocissimo e pericoloso circuito del Lausitzring, dove esattamente quaranta anni prima era morto Pedro Rodriguez, Michele stava testando la “R8 Sport” con cui avrebbe dovuto partecipare alla 24 Ore di Le Mans: mentre percorreva a circa 340 Km/h il rettilineo più veloce della pista, probabilmente per l’esplosione di un pneumatico, la sua vettura perse la traiettoria e centrò le barriere compiendo un impressionante volo di un centinaio di metri. Quando i soccorsi giunsero sul posto, per lui non c’era più nulla da fare: Michele era morto sul colpo, schiacciato dalla sua stessa vettura capovolta. Aveva 44 anni.