, Gran Premio degli Stati Uniti, 12 dicembre 1959. Jack Brabham sulla Cooper a motore posteriore Climax sta per diventare per la prima volta Campione del Mondo di Formula 1, primo australiano a raggiungere un titolo di quella portata. Sta battagliando per la vittoria con il suo giovane scudiero Bruce McLaren cui, forse, ha già deciso di cedere la vittoria visto che il secondo posto gli garantirebbe l’iride, ma a poche centinaia di metri dal traguardo il motore della sua monoposto comincia a singhiozzare e poi si ammutolisce. Jack ha finito la benzina. Per fortuna McLaren sta impedendo alla Ferrari di Tony Brooks di vincere la corsa che significherebbe la perdita del titolo, ma Jack non è certo uomo che si tira indietro di fronte ad una difficoltà o che lascia il suo destino nelle mani di qualcun altro. Scende dalla macchina e la spinge faticosamente a braccia oltre il traguardo dopo un calvario lungo quasi 5 minuti al termine del quale si accascia senza forze. Ma finisce incredibilmente quarto. Questo era Jack Brabham, spentosi “serenamente” – come ha detto il comunicato diramato da suo figlio David – all’età di 88 anni questa notte nel Queensland, poche settimane dopo la sua ultima apparizione in pubblico e dopo una lunga ed accanita battaglia, come era suo solito, con la malattia. Jack non era certo un pilota da “simulatore” o che voleva scendere dalla macchina fresco e pulito dopo una corsa. Jack era un uomo da officina, che amava sporcarsi le mani, che modellava le lamiere delle macchine che costruiva, che faceva da solo le regolazioni delle sospensioni, paladino di quell’epico periodo della Formula 1 dominato dai “costruttori”, ovvero da team nati dall’intraprendenza e dalla sagacia di uomini che erano prima di tutto meccanici e mettevano in piedi piccoli atelier. Sir Jack Brabham era uno dei più grandi personaggi dello sport automobilistico mondiale, certamente fra i più grandi piloti di ogni tempo e detiene un primato ad oggi imbattuto e, a dire il vero, difficilmente battibile: è l’unico pilota della storia della Formula 1 ad avere vinto un titolo mondiale guidando per la propria scuderia una vettura progettata e costruita personalmente, con l’aiuto del suo amico di sempre Ron Tauranac. Ma il contributo di Brabham alla storia delle corse va ben oltre a questo, seppur importante, aspetto: Jack è stato uno dei più grandi piloti di sempre e, grazie alla sua abilità ingegneristica e alla sua profonda conoscenza delle macchine, ebbe un ruolo fondamentale nell’esplosione del “fenomeno-Cooper” della fine degli anni ’50, che segnò una rivoluzione tecnica epocale per l’automobilismo sportivo. Dopo varie esperienze in pista nella natia Australia, Jack si trasferì in Europa nel 1953 acquistando una Cooper e diventando uno stretto collaboratore di John e Charles Cooper, in veste però più di meccanico e collaudatore che di pilota. Nel ’55 esordì nel Campionato ad Aintree con una vettura da lui stesso progettata, ma i primi risultati non furono positivi. Il suo secondo nome, però, era “tenacia”. Dopo tre anni di anonime prestazioni e di lento sviluppo della tecnica del motore posteriore, Jack esplose letteralmente nel ’59 diventando Campione del Mondo da totale outsider, titolo che confermò nella stagione successiva, totalmente dominata. Il cambio di regolamento del 1961 che portò il limite dei motori a 1,5 litri, mise in crisi la Cooper – ed in particolare la Climax, in difficoltà a produrre un propulsore competitivo secondo le nuove norme – e ciò spinse ancora di più Jack verso il progetto che fin dai suoi esordi di pilota aveva cullato: fondare una scuderia e costruire una vettura vincente che portasse il suo nome. Nacque così, nel 1962, la Brabham Racing Organisation, destinata a diventare una delle marche più blasonate e gloriose della storia della Formula 1. Nel 1966, grazie al connubio con un’altra firma australiana, la Repco, industria aeronautica che costruì per lui dei motori vincenti derivati da un modello stradale Oldsmobile, Jack diventò Campione del Mondo per la terza volta alla guida della mitica Brabham-Repco all-Australia. La Brabham vinse ancora nel ’67 con il neozelandese Denny Hulme, a conferma delle capacità anche manageriali e di talent-scout del vecchio Jack. Già il “vecchio” Jack.

In quello straordinario 1966 aveva già 40 anni e i giornali, specie i taglienti tabloid inglesi, lo davano già per finito. A Zandvoort, sulla griglia di partenza del Gran Premio di Olanda, si presentò appoggiato ad un bastone e con una lunga barba sotto il casco. Poi partì, vinse la corsa e finì l’anno con il Titolo Mondiale. Continuò imperterrito fino al 1970, quando a 44 anni colse il suo ultimo trionfo a Kyalami, nel GP del Sudafrica. Appeso il casco al chiodo, vendette la proprietà della scuderia – che conservò sempre e comunque il suo nome e la sigla “BT”, ovvero Brabham-Tauranac, a contrassegnare i vari modelli delle vetture – alla Motor Racing Developments di proprietà di Bernie Ecclestone, un ex-pilota dai mediocri risultati che ebbe, come è noto, una fortuna ben maggiore in campo manageriale. La Brabham rimase in pista fino al 1992, collezionando altri due titoli mondiali e numerose vittorie e lanciando grandi piloti quali Carlos Reutemann, Carlos Pace e Nelson Piquet. I tre figli di Jack, baronetto e membro permanente della  – la British Drivers Racing Club – Geoff, Gary e David, hanno avuto un discreto successo come piloti anche se con un talento ben inferiore a quello, straordinario, del padre. Addio “vecchio” Jack. E non ti offendere. “Vecchio”, in questo caso, è un sincero complimento.