, l’appuntamento più glamour ed affascinante del grande circus, ma anche quello più carico di storia, di aneddoti e di vicende che riempiono il mito delle corse in macchina e ne determinano direttamente la popolarità. Che infiammano la passione. Non mi direte che seguire le vicende per quanto segnate dallo scontato dominio Mercedes della gara del Principato vi abbia dato gli stessi brividi e le stesse sensazioni che regala il GP di Corea, quello di India o il paventato GP del Kazakistan. Mi è capitato di recente di leggere un articolo di Pino Allievi – non esattamente l’ultimo delle penne come sono io ma uno delle più autorevoli firme del settore – che prendendo a pretesto l’effettivamente ridicolo tentativo di amplificazione dei suoni delle nuove Formula 1 tentato dalla Mercedes nei test di Barcellona, invitava a smetterla di rievocare ricordi romantici come l’eco assordante dei perduti motori e di non comportarsi come “chi vive di lifting fisici e non accetta che il tempo ci trasformi”. Sarà anche vero, ma nel mio piccolo mi permetto di dissentire. C’era un grande architetto che non era esattamente l’ultimo dei mestieranti e che si chiamava Antoni Gaudi. Un giorno a chi gli chiedeva come mai fosse così “innovativo” rispetto a tutto ciò che aveva intorno, disse: “Non si deve voler essere originali: chiunque deve sapersi riferire a quanto è stato compiuto in precedenza; se non lo fa, non concluderà niente, cadrà in tutti gli errori già commessi nel corso dei secoli. Non dobbiamo disprezzare l’insegnamento del passato”. Ce ne scusiamo con lui e lo applichiamo al prosaico mondo delle corse automobilistiche. E ci accorgiamo che per due settimane si è parlato infinitamente di più di Ayrton Senna che di Lewis Hamilton in un intero anno di corsa. Servono altre prove? E quindi evviva l’anacronistico, affascinante, imprevedibile e luccicante Gran Premio di Monaco.

M come monotonia. Un po’ tutti se lo auguravano anche se nessuno ci credeva veramente: le Mercedes (sempre la M) hanno però spazzato via ancora una volta i dubbi sulla gerarchia dei valori in campo per questo strano Mondiale che sta andando esattamente all’opposto di come tutti se lo aspettavano e per cui era, dal punto di vista regolamentare, stato concepito. Primo e secondo, secondo e primo, Rosberg ed Hamilton danno ancora la sensazione di spartirsi il bottino di guerra guardandosi in cagnesco ma sapendo di avere nel compagno di squadra l’unico avversario credibile. Le vinceranno tutte? Forse no, non fosse altro che per la legge dei grandi numeri. Ma i sospetti ci sono.

M come Me lo aspettavo. Ricordate la vicenda dei “due galli nel pollaio”? Ebbene l’apparente intesa e la collaborazione fattiva che mostravano i due alfieri delle Frecce d’Argento nelle loro prime uscite sta già dando segni chiari e forti di cedimento. Ed è forse inevitabile, visto che con l’andare del tempo, e non ce n’è voluto nemmeno troppo, entrambi si sono resi conto di avere davanti una grande occasione personale. Che non sono disposti a sacrificare al “gioco di squadra”.

M come Maledetto Chilton. Sembrava essere la volta buona per il recupero psicologico di Kimi Raikkonen, il cui ingaggio a Maranello ha fino ad ora creato più dubbi che certezze. Soprattutto nella sua testa. Una grande partenza ed un possibile podio rovinato da un tamponamento subito dall’inglese della Marussia gli costerà di nuovo parecchie sedute dall’analista che sarà impegnato a tentare di scollargli di dosso la depressione in cui sembra ormai caduto.

M come Mattiacci. Non per altro, solo per fargli tanti auguri per il suo lavoro perché ne avrà bisogno. (continua)

M come Malasorte. Avete presente la scalogna che lo scorso anno saliva regolarmente sulla macchina diMark Webber a cui ne succedevano di ogni? Ebbene quest’anno ritiratosi l’australiano, il gufetto nero che si aggira nel motorhome Red Bull deve aver imboccato il primo ingresso che ha trovato e cioè quello del box diSebastian Vettel. Escludo sia diventato improvvisamente brocco, anche se Daniel Ricciardo è un grande, grandissimo prospetto. La sensazione è che il feeling con la squadra anglo-austriaca e le sue bibite energetiche sia in netto calo. Azzardo: e se l’anno prossimo cambiasse volante?

M come Marussia. Anche in Formula 1 succedono i miracoli, che anch’essi iniziano per M. Quello che ha fatto Jules Bianchi nonostante non sia stato nemmeno particolarmente fortunato durante la corsa è una impresa degna di una vittoria. Nessuno degli small team affacciatosi in F.1 negli ultimi anni era mai finito a punti e nessun team russo era mai riuscito nella storica impresa. Guarda caso Bianchi non è nato né in Kazakistan né in Corea ma in Francia, ovvero in una nazione che da anni si è vista cancellare dal calendario il suo storico Gran Premio. E’ un pilota venuto dalla tradizione di una grande famiglia di appassionati che ha dato all’automobilismo sportivo il suo tributo di sangue. Suo nonno Mauro Bianchi e suo prozio Lucien, fratello di Mauro, furono fra i più grandi piloti belgi degli anni ’60: Mauro chiuse la carriera dopo un gravissimo incidente alla 24 Ore di Le Mans del 1968 da cui fisicamente non si riprese più completamente: quella gara la vinse Lucien che morì però sulla Sarthe l’anno successivo. Jules è nel giro dei giovani piloti nell’orbita del team Ferrari. Che sia il momento di voltare pagina anche a Maranello?