Acquazzoni, botti, spettacolo, safety car e Ferrari. Questa volta ci avevamo veramente creduto e ci è mancato poco: dopo mesi di attese deluse, mezze verità, di epurazioni e di scarsi risultati, sembrava veramente che fosse la volta buona per rivedere una Rossa di Maranello vincere un Gran Premio. A tre giri dalla fine uno strepitoso – come sempre – Fernando Alonso era al comando di una corsa spettacolare, movimentata e “pazza”, come solo un sano scoscio di pioggia che cade al momento giusto è capace di regalare. Ma dietro all’alfiere asturiano della Ferrari ritornava come un treno uno che ormai non si può più nascondere dietro la patente di “ragazzo che sta imparando” o di “seconda guida” della Red Bull. Si chiama Daniel Ricciardo, è nato a Perth, in Australia ma in lui scorre sangue italiano. Suo padre Joe è emigrato con la sua famiglia in cerca di fortuna dalla Sicilia nella lontana terra dei canguri quando aveva sette anni, mentre sua madre Grace discende da una famiglia calabrese. Ricciardo aveva gomme fresche, cambiate pochi giri prima con una mossa tattica che a prima vista era sembrata un errore e che invece si è rivelata vincente, si è mangiato con un sorpasso fantastico Lewis Hamilton e poi, inevitabilmente, ha infilato Fernando volando verso la seconda vittoria stagionale e della sua carriera, una vittoria che lo consacra definitivamente come un campione dal grande futuro. Deluso, forse, Alonso sul secondo gradino del podio di fronte a quella vittoria svanita ad un passo dalla meta: ma la sua è una gara da vincitore morale, che vale un successo. Grazie lo stesso, Fernando. Priorità per Maranello: tenerselo stretto. Queste sono le prestazioni che riconciliano i tifosi della Ferrari con la loro amata rossa e, più in generale, riconsegnano il vero spirito della F.1 alle folle degli appassionati, un po’ spaesati dalla ipertrofia tecnologica del circus. La pioggia, si sa, da sempre costringe a mettere il cuore oltre l’ostacolo e tira fuori i piloti veri, quelli che vanno col piede lungo in frenata affrontando ogni curva come se fosse l’ultima. Inutile ricordare cosa era Ayrton Senna sul bagnato e cosa fece con la Toleman a Monaco ’84: quello fu forse il caso più clamoroso. Ma la storia scritta dall’asfalto bagnato ha regalato prestazioni leggendarie consacrando campioni che sul bagnato avevano quel “tocco” in più che altri non conoscevano: Jacky Ickx, Jochen Rindt, Jim Clark, Pedro Rodriguez (“Perché qualcuno non dice a Pedro che sta piovendo” fu il commento di uno sconsolato Chris Amon durante la 1000Km di Brands Hatch del 1970 che Rodriguez vinse con cinque giri di vantaggio sul secondo) o portando al successo piloti che magari campioni non erano ma erano dotati di “un grande cuore” e di un coraggio ancora più grande. Vittorio Brambilla, ne è il prototipo con il suo trionfo in Austria nel 1975. Ma scusate, mi rendo conto che sto divagando. Quel che è certo è che quello di Ungheria, generalmente un tracciato “noioso” e dai sorpassi difficili, si è rivelato uno delle corse più belle di sempre con un podio degnissimo e diversi vincitori morali. Oltre a Ricciardo e Alonso, fantastico anche Lewis Hamilton, partito ultimo per l’incendio sulla sua vettura nella Q1 di sabato… 

… e finito terzo davanti a Rosberg grazie ad un po’ di fortuna – la safety car per il botto di Ericsson entrata in pista al momento giusto e la barriera solo “sfiorata” dopo il testa coda ad inizio gara – e ad una aggressività spaventosa, sopita solo a fine gara dallo stato delle gomme che non gli ha permesso di superare Alonso e contenere la furia di Ricciardo. Nico Rosberg è stato sfortunato, penalizzato esattamente al contrario del compagno di squadra dall’essere comodamente in testa al momento della Safety car entrata in pista mentre gli addetti rimuovevano i rottami della Caterham, cosa che lo ha portato dal primo al settimo posto. Ma il suo recupero di 15 secondi in cinque giri verso fine corsa ed il suo tentativo disperato di passare Hamilton all’ultimo giro, valevano comunque il prezzo del biglietto. Insomma, grandi personaggi e grandi piloti, in una F.1 che sembra finalmente vivere una stagione ricca di talento: è questo il “tesoro” su cui puntare per il rilancio dell’automobilismo sportivo. Gli altri: discreto per una volta Raikkonen, partito in fondo e giunto sesto davanti a Vettel – sfortunato o depresso? – con anche qualche guizzo di classe che non si vedeva da tempo. Meno bene del previsto la Williams: Valtteri Bottas si è giocato la gara con un errore dei box al cambio gomme che lo ha portato dalla seconda alla undicesima posizione e Massa ha caracollato nelle prime posizioni senza mai piazzare un acuto. Permettetemi un’ultima citazione per quello che secondo me resta il miglior pilota in tema di strategie e coraggio: si chiama Jenson Button e dove c’è una situazione da sfruttare al meglio, lui ci prova sempre. Stavolta gli è andata male, ma il coraggio va premiato: con la sua McLaren decisamente inferiore alle altre vetture, ha scommesso sulla pioggia tenendo le intermedie dietro alla safety-car e sperando nelle nuvolone nere e minacciose che solcavano il cielo di Budapest nelle corso della gara. Era la sua unica possibilità e lui, giustamente, ci ha provato. Avesse piovuto, saremmo qui a parlare dell’ennesima “magata” strategica del più esperto fra i piloti inglesi del circus.