Il suo sorriso da attore cinematografico, la sua indole solare e mite, il suo proverbiale fair play assolutamente inglese, il suo stile in pista pulito e redditizio fecero di lui un personaggio fuori dal comune anche nella vita, non meno che alla guida delle macchine da corsa con le quali ottenne grandi risultati. Fu grande protagonista delle cronache mondane che vedevano nella sua casa, un lussuoso yacht ancorato nel porto di Monaco che divideva con la moglie Louise King, attrice americana, uno dei luoghi prediletti per i paparazzi del tempo. Lui era Peter Collins, talento cristallino e naturale, e faceva parte di quella straordinaria “nidiata” di piloti inglesi – i cui esponenti di punta erano, oltre a lui, Stirling Moss, Tony Brooks e Mike Hawthorn – che avrebbe finalmente portato la Gran Bretagna al ruolo di protagonista nel panorama automobilistico mondiale, un ruolo diviso fino ad allora fra Italia, Francia e Argentina. Non è un caso che Enzo Ferrari si sia affezionato a lui come a pochissimi altri piloti: la sua tragica morte al Nürburgring, solo 14 giorni dopo la strepitosa vittoria di Silverstone, lasciò una profonda ferita nel mondo delle corse, squassato in quel periodo da una serie di incidenti drammatici che ne misero in discussione la stessa esistenza. Nato a Mustow Green, nei pressi di Kidderminster, una cittadina molto inglese di 50.000 anime dalle parti di Worcester, Peter si appassionò giovanissimo allo sport del volante; prese la patente a 17 anni e suo padre, venditore di automobili, lo aiutò a compiere le prime esperienze in fra il 1949 e il 1951, con le piccole Cooper e JPS. Nel 1952 la HWM – che aveva l’ambizione di creare un team Formula 1 all-english – lo ingaggiò con un contratto di due anni insieme agli altri giovani inglesi Moss e Lance Macklin. Peter esordì nel Mondiale al GP di Svizzera assommando però solo una serie di risultati modesti come la monoposto di cui disponeva. Nel 1954 disputò senza gloria qualche gara del Mondiale sulla neonata Vanwall ma il suo talento emerse soprattutto nelle competizioni sport con la Aston Martin, tanto che nel 1956 fu ingaggiato dalla Scuderia Ferrari, fortemente voluto dal “Commendatore” e dal suo proverbiale fiuto per il talento. Come per il connazionale Moss l’anno precedente alla Mercedes, anche per Peter la stagione al Cavallino vissuta a contatto con il “Maestro” Juan Manuel Fangio fu la svolta della sua carriera. Arrivarono le prime vittorie a Spa e Reims, ma il nome di Peter Collins rimane indelebilmente impresso nella storia dell’automobilismo sportivo soprattutto per lo straordinario gesto cavalleresco con cui cedette la vettura a Fangio nel GP d’Italia ‘56, permettendo al suo caposquadra di vincere il suo quarto Titolo Mondiale. Collins, che era al terzo posto e che vincendo e realizzando il giro più veloce – premiato allora da un punto – avrebbe potuto diventare a sua volta Campione, rientrò per il rifornimento e vedendo Fangio a cavalcioni sul muretto scese dalla vettura e gli consegnò il volante – come permesso dal regolamento di allora – dicendo al compagno di 20 anni più vecchio: “E’ giusto che il Mondiale lo vinca tu, io sono giovane, avrò altre occasioni”. Fangio salì sulla macchina e finì secondo, quanto gli bastava per fregiarsi dell’Iride. Un gesto che gli valse la stima incondizionata del leggendario Pentacampeon e anche quella di Enzo Ferrari che stravedeva per quel giovane pilota così inglese e così capace di farsi amare dagli italiani. Purtroppo il destino non ripagò Collins per quell’enorme gesto di sportività: nel ’57 ebbe l’occasione di correre in Ferrari con il fraterno amico Mike Hawthorn ma la stagione fu negativa anche per la non eccelsa riuscita della “801” di quell’anno, inferiore come prestazioni anche alla vecchia Maserati 250F. Nel 1958 la Ferrari, che schierava Hawthorn, Collins, Von Trips, Phil Hill e Musso, tornò ai vertici grazie alla “Dino 246”. Enzo Ferrari, contrariamente al suo solito, non definì le gerarchie fra i suoi piloti, tutti giovani in grande ascesa, ma li lasciò liberi, cosa che contribuì a creare una notevole competizione all’interno della squadra, che a volte sfociava nella ricerca ossessiva del limite.
Non c’è alcuna prova del fatto che ciò sia connesso a quello che successe, ma la storia, di fatto, andò così: a Reims, nel tentativo di percorrere la terribile curva del Calvaire – il Calvario – senza alzare il piede dall’acceleratore per non perdere il contatto da Hawthorn, morì Luigi Musso. Collins trionfò nel GP di Gran Bretagna ma nella successiva competizione sull'”Inferno Verde” del Nürburgring uscì di strada alla curva Pflanzgarten rincorrendo Hawthorn, capottandosi più volte e fratturandosi il cranio contro un albero. Il commissario di curva che accorse per soccorrerlo lo sentì mormorare “Come Musso…”, a causa della somiglianza dei due incidenti. Spirò durante il tragitto verso l’ospedale di Bonn. Era il 3 agosto 1958. Peter Collins aveva 27 anni.