Inverno 1962, Maranello. Carlo Chiti, geniale ingegnere pistoiese che diventerà poi una delle figure più importanti del motorismo italiano, dirige il Reparto Corse della Ferrari. E’ lui il “padre” della 156 F1 “sharknose” che ha vinto con Phil Hill il Mondiale del 1961. Ma la stagione ’62 è stata decisamente negativa, acuendo il dissenso nella Scuderia fra Chiti ed Enzo Ferrari. Motivo del contendere, l’attenzione speciale che il Drake dedica agli sport prototipi ed al Mondiale Marche a discapito, dice Chiti, della Formula 1. Il “partito” del progettista-capo è appoggiato anche da Hill, dal direttore sportivo Romolo Tavoni, ex-segretario personale di Ferrari, e da una parte consistente degli ingegneri. In una riunione più burrascosa delle altre, volano letteralmente gli stracci. Chiti si oppone alla linea di Ferrari. A quella riunione partecipano anche due ragazzi, praticamente neolaureati, che erano entrati nello Staff Tecnico da poco tempo: uno si chiama Giampaolo Dallara, l’altro, modenese come il Drake, è un ragazzo magro e alto, con un vistoso paio di occhiali che aveva iniziato in Ferrari praticamente come garzone di Chiti. Si chiama Mauro Forghieri. Dopo quella “fatale” riunione Ferrari, che non conosceva la parola titubanza né amava particolarmente che si mettesse in discussione la sua volontà, fece trovare sulla scrivania dei dissidenti una busta con la lettera di licenziamento, la liquidazione dovuta ed una cospicua buonuscita. Senza dire una parola. Chiti, Tavoni, Hill e perfino il motorista Giotto Bizzarrini furono messi alla porta. Insieme intrapresero la sfortunata avventura della ATS. A capo del Reparto Corse il Grande Vecchio, che non aveva fiuto solo per i piloti ma anche per i collaboratori, scelse Mauro Forghieri. Un azzardo che si rivelerà una delle trovate più rivoluzionarie, geniali e riuscite di tutta la storia della Ferrari. Forghieri quell’incarico lo conservò per ventisette anni, una enormità in un mondo in continua e fulminante evoluzione come quello della tecnica, della Formula 1 e delle corse. Quasi tre decenni in cui quel ragazzo timido che Ferrari prese sotto la sua ala trattandolo come un figlio, fu il padre del 12 cilindri Boxer che scrisse la storia della Ferrari per anni, fu il primo ad introdurre l’uso degli alettoni nel 1968, fu l’artefice dei tronfi di Niki Lauda negli anni ’70 e fu il padre della più bella vettura da Gran Premio mai vista, la fantastica . Era il condottiero del Cavallino quando scoppiò la Febbre-Villeneuve e costruì la prima Ferrari turbo. Se ne andò quando la Fiat entrò sempre più potentemente nelle decisioni sportive, con l’avanzare di età del “Vecchio”. Mauro Forghieri è l’uomo che più di ogni altro, dopo il Fondatore, ha scritto la storia del Cavallino, vivendone quasi la metà di tutta l’avventura sportiva dalla sua fondazioni fino ad oggi. Vincendo 54 Gran Premi, 11 Titoli Mondiali in F1, altri 6 nel Mondiale Marche, vincendo a Le Mans, a Daytona, in Sudamerica ed in Tasmania, in Sudafrica ed in Giappone. L’unico che poteva contraddire – ma sempre discretamente – Enzo Ferrari. Considerò sempre Chiti e il genio dell’Alfa Romeo 158 Vittorio Jano come i suoi due punti di riferimento tecnici, ma fu, da sempre, una “creatura di Ferrari”. Conobbe i più grandi campioni della F.1 che fece accomodare sulle sue macchine e visse in prima persona i più grandi drammi della Scuderia: la morte di Von Trips a Monza, quella di Lorenzo Bandini a Monaco ’67, quella terribile e dall’incredibile dinamica di Ignazio Giunti nella 1000 Km di Buenos Aires ‘70 – un incidente provocato tra l’altro da Jean-Pierre Beltoise, scomparso proprio qualche giorno fa dopo una breve malattia – e infine, quella di Gilles Villeneuve a Zolder nel 1982. Lasciata la Ferrari non ha certo appeso la “penna” al chiodo, lavorando con Lamborghini, Bugatti, Aprilia, BMW e progettando di tutto e a tutto interessandosi. Mauro Forghieri, da Modena, il 13 gennaio ha compiuto 80 anni. Lui che, dopo Ferrari, è stato la più grande espressione dell’autentico, unico e inimitabile stile-Ferrari.