La macchina bella è quella che vince. Si tratta di una delle storiche, leggendarie massime di Enzo Ferrari, coniata nel 1979 quando alcuni giornalisti avevano gli fatto notare che la , che poi avrebbe vinto il Mondiale con Jody Scheckter e Gilles Villeneuve, non era esattamente il massimo dal punto di vista estetico. Lo ha ripetuto oggi Maurizio Arrivabene, nuovo team principal della Scuderia di Maranello, in occasione della presentazione della nuova . E mai frase fu più azzeccata. La macchina bella è quella che vince. Anche perché, di primo acchito, la nuova Rossa che riempirà i week-end del nostro 2015 di appassionati, appare decisamente accattivante, nella sua elegante livrea rossa e nera, specie se paragonata alla reazione decisamente dubbiosa che lo scorso anno aveva suscitato “il brutto anatroccolo” F14T, poi non trasformatosi in un cigno. La macchina bella è quella che vince. Solo la pista dirà se la nuova Ferrari sarà veramente veloce quanto tutti sperano: il giorno del lancio, si sa, è per antonomasia quello dell’entusiasmo e della fiducia. E’ inevitabile ed è giusto che sia così. Ma: la macchina bella è quella che vince. Chissà se al Drake era già venuta in mente questa pennellata dialettica, questa frase che così bene riassume la filosofia dell’azienda che ha fondato, quando portava in pista sotto le insegne della Scuderia le Alfa Romeo P3. Già l’Alfa Romeo. Perché se c’è una cosa che è saltata agli occhi degli appassionati nella nuova Ferrari, ancora prima della sua livrea elegante, del suo rombo anticipato via web da qualche giorno, dell’attesa un po’ curiosa di capire se è anche veloce, c’è quel marchio, in bella vista, il primo tra la lunga fila degli sponsor della vettura. Il marchio dell’Alfa Romeo. L’Alfa non è semplicemente una macchina italiana, non è soltanto un marchio del gruppo Fiat – anzi, dell’FCA Group come dovremo abituarci a chiamarlo – ma rappresenta qualcosa di più. L’Alfa coincide con la storia stessa dell’automobilismo sportivo in Italia ed il suo ritorno sulle piste più importanti suona come un vero e proprio proposito di riscossa. L’Alfa Romeo è, prima di tutto l’alveo nel quale Enzo Ferrari approcciò il mondo delle corse prima come pilota, nel 1920, e poi come team principal, come lo definiremmo oggi. Entrò in Alfa Corse – come ricostruito in una memorabile sequenza della fiction Ferrari con Sergio Castellitto che vi consiglio di “ripassare” – nel 1929 portandosi dalla Fiat Vittorio Jano, quello che sarà il “padre” dei alcune delle vetture più leggendarie della storia della casa del Biscione, compresa la due volte Mondiale Alfetta 158. Con l’Alfa Ferrari utilizzò per la prima volta il leggendario Cavallino Rampante come simbolo della sua scuderia, un legame che, nonostante la fine “burrascosa” del rapporto fra l’azienda ed il Grande Vecchio nel 1940 – che portò poi alla fondazione della Ferrari – non venne mai meno, né tantomeno fu rinnegato dallo stesso Ferrari. Le Alfa erano le vetture con cui Tazio Nuvolari disegnò alcune delle sue più straordinarie imprese a partire da quelle nella Mille Miglia che contribuirono a costruirne la figura leggendaria. L’Alfa, con la Maserati, era la bandiera della tecnica e della meccanica italiana nella “Lotta fra Titani” che caratterizzò le corse degli anni ’30, quella fra le auto italiane e le armate tedesche Mercedes e Auto Union. L’Alfa ha vinto, dominando i primi due Campionati del Mondo di Formula 1, vincendo tutto quello che c’era da vincere al cospetto di inglesi, francesi, spagnoli e tedeschi. L’Alfa è stata, nei decenni successivi, una marca capace di vincere in ogni categoria, dalle monoposto ai prototipi, dal turismo alla salita. Ebbene, lasciateci sognare: non vogliamo credere che la scelta di riportare il Biscione bene in vista sulle fiancate della Rossa Nazionale sia solo una trovata di marketing, un estremo tentativo per rianimare un brand – come lo chiamano gli addetti ai lavori – che da tempo boccheggia relegato in una nicchia nella produzione del Gruppo Fiat. Non può essere solo questo: ci piace pensare che sia una strizzata d’occhio della Scuderia – e forse di Marchionne – ai suoi appassionati tifosi, a quell’universo di amanti delle corse bistrattati dalla disumanizzazione della Formula 1, dall’astrusità non risolta dei regolamenti, dal DRS, dal kers, dall’ERS e altre diavolerie simili. E anche, diciamolo francamente, sconcertati di fronte ad alcune scelte gestionali degli ultimi tempi da cui lo Stile Ferrari è stato messo in discussione. Il ritorno del marchio Alfa è tutto questo: orgoglio nazionale, tradizione, leggenda, fascino. Una levata di scudi, un segno di fiducia nel futuro. Si volta pagina, si guarda avanti. Come faceva Enzo, perché “la macchina migliore è quella che deve ancora essere costruita”. Ma con nella coda degli occhi la tradizione e la storia senza le quali le basi per progettare il futuro non possono sussistere. Ed ora bando ai sentimentalismi. E vediamo se questa SF15-T è veloce almeno quanto è bella.