Bufera sul mondo dei motori, quella “vera” dell’uragano Patricia che ha sconvolto i “piani” del Gran Premio degli Stati Uniti di Formula 1 ad Austin e quella “mediatica” sul fattaccio di Sepang e sul confronto Rossi-Marquez che ha probabilmente deciso il Campionato del Mondo di MotoGP. Comincio muovendomi nel mio campo, quello dell’automobilismo, per celebrare Lewis Hamilton, meritatamente vincitore del suo terzo Titolo Mondiale con tre gare di anticipo, un traguardo che colloca l’inglese fra i più grandi piloti di sempre e gli permette di raggiungere, quanto ad allori iridati, veri e propri mostri sacri come Jackye Stewart, Jack Brabham, Nelson Piquet o Ayrton Senna. E’ sempre difficile scomodare miti e paragoni e non sarò certo io ad inoltrarmi nel vicolo cieco di tentare di soppesare questi ultimi due Mondiali conquistati con la Mercedes rispetto a quelli che i suddetti campioni hanno portato a casa in una Formula 1 completamente diversa trenta, quaranta o cinquanta anni fa. Quello che è certo è che, oggi, di piloti come Hamilton ce ne sono pochi ed è ovvio che il suo binomio con la vettura indiscutibilmente migliore del lotto produca un trionfo. Ma reso il giusto tributo al vincitore, non si può non parlare della gara più divertente, spettacolare ed imprevedibile dell’anno, anche perché capace di far trarre spunti assai interessanti che mi piacerebbe sottolineare e condividere.

Cosa può fare una pista: il Circuito delle Americhe è una pista bellissima, decisamente la migliore fra le new-entry. Spettacolari alcuni passaggi, larga la sede stradale, ampie le vie di fuga e numerose le possibilità di sorpasso. E’ vero, l’uragano Patricia ci ha messo del suo, ma il rilancio della Formula 1 passa attraverso posti come questo. E gli Stati Uniti, che a differenza di Kazakistan, Corea e India sono stati da sempre un pezzo di storia importante per la F1, possono essere un trampolino di lancio eccezionale.

Cosa differenzia un buon pilota da un grande pilota: Hamilton ha vinto con un po’ di fortuna, molto coraggio e la calma che è la virtù dei forti. Nico Rosberg ha combattuto da par suo, ci ha messo l’anima, ha fatto a sportellate, è finito dietro ed è risalito a colpi di giri veloci. Ma sul più bello… tac. Ha sbagliato quando non poteva sbagliare. Reso l’idea? Se non fosse chiaro si potrebbe ripetere l’esempio con la coppia Vettel-Raikkonen.

Cosa può fare Sebastian Vettel con una Ferrari competitiva: semplice, vincere parecchie corse e giocarsela per il Titolo. Anche ieri il grande Seb ha fatto il massimo possibile partendo tredicesimo, ovvero arrivare nei primi tre. E senza le due Safety Car nel finale – una virtuale e una “fisica” – il suo cambio di gomme anticipato a trenta giri dalle fine gli avrebbe consegnato la vittoria. Insomma, prima ho detto che in pista di piloti come Hamilton ce ne sono pochi. Ecco, uno è certamente Sebastian Vettel.

La classe non è acqua: è la Formula 1 dei giovani, finalmente. Carlos Sainz, Daniel Ricciardo, Dani Kvyat, perfino Alexander Rossi hanno dato, nel bene e nel male, spettacolo lottando nella bagarre senza lesinare ruotate e sportellate che, finalmente, i giudici di gara non hanno ingabbiato in assurde penalizzazioni o scoraggiato con ridicole reprimende. Si sono viste scene che non si ricordavano da Monza 1971, con tre, quattro vetture appaiate all’ingresso di una curva a contendersi la staccata. La pista prima bagnata, poi umida e sempre insidiosa ha fatto il resto. Si, ok. Ma chi è arrivato quarto, uscendo dalla mischia? Ovviamente lui, il vero nuovo grande campione di domani: Max Verstappen. Ricordate quando ho detto che ci sono pochi piloti come Hamilton? Bene, se il secondo è Vettel, il terzo è Max.

La classe non è acqua, capitolo 2: penalizzato, quasi imbruttito da un annus horribilis alla Honda. Perfino in dubbio se continuare o no in Formula 1. Eppure, la classe ed il talento restano intatti. Appena c’è la possibilità di sfruttare le situazioni contingenti con una intuizione tattica, una mossa a sorpresa, una strategia originale, emerge sempre lui, Jenson Button, secondo me il pilota più penalizzato in assoluto dalla deriva tecno-taxistica della Formula 1 moderna. Arrivare sesti con la McLaren di oggi è un miracolo, farlo per aver capito dieci giri prima degli altri qual era la strategia migliore è un colpo di genio.

Dulcis in fundo, quei quattro lettori che hanno avuto la pazienza di seguirmi fino ad ora, si dovranno sorbire un’ultima considerazione. Sono mesi, forse anni, che alla decadente F1 si contrappone da parte degli osservatori l’aureo mondo del Motomondiale, dove tutto va bene, tutto è spettacolo e tutto è fantastico. Ora, per una volta, lasciate cha uno dei pochi rimasti a prediligere le quattro ruote alle due si tolga un sassolino dalla scarpa.

Questa domenica, come spettacolo, non c’è stato paragone. E, stavolta, è il mondo fino ad ora patinato del Motomondiale ad uscirne ridimensionato. Quello che si è visto a Sepang non ha precedenti nella storia delle corse e, forse, nella storia dello sport stesso. Di rivalità, beninteso, sono pieni gli annali, ma che un “terzo incomodo” decida deliberatamente di giocare contro a qualcuno per favorire un altro, non si era mai visto. Il risultato è che dal “fattaccio” escono tutti malissimo: Marquez che ha fatto quello che ha fatto rivelandosi più vendicativo di un bambino dell’asilo e più sfacciato di un bullo di periferia, Lorenzo che – non si sa bene quanto connivente nella “associazione a delinquere” – finirà adesso per vincere un Mondiale più per demeriti di altri che non per meriti suoi e grazie a discutibili “aiuti” esterni. Ma – e qui occorre il coraggio di dirlo – anche Rossi che prima ha sbagliato ad alzare il livello della polemica alla vigilia della corsa portando l’acredine e la tensione oltre il livello di guardia e poi ha reagito come non doveva fare nello scontro con Marquez. E non doveva farlo non tanto perché “è sbagliato”, ma perché lui è Valentino e le leggende devono saper conservare intatto il proprio fascino magnetico sulla gente. A volte a costo di perdere. Ora la questione è più delicata e complicata.