E’ difficile parlare di altro di questi tempi. L’intero mondo dello sport si interroga sullo sconcertante finale del Motomondiale, andato in scena domenica a Valencia, con le sue inevitabili polemiche che sfociano piuttosto facilmente in un nazionalismo che sembra contrapporre l’intera Spagna all’Italia. Commentare con equilibrio la surreale vicenda – al di là del “calcio” di Valentino che continuo a ritenere un errore, quello della coppia Marquez–Lorenzo, e va detto anche della Honda, è stato uno dei comportamenti più palesemente antisportivi della storia dello sport – non è cosa facile ed è per questo che, se volete per stemperare la tensione, con un filo di pusillanimità preferisco parlare di altro. Ed il calendario, questa volta, mi dà una mano. Oggi il mondo della Formula 1 si troverà a festeggiare i cinquant’anni di uno dei più scanzonati ed originali personaggi che ne abbiano mai calcato le scene. Nato a Newtownards, in Irlanda del Nord il 10 novembre 1965, Eddie Irvine è stato il “Barrichello degli anni ’90”, l’uomo scelto come spalla di Michael Schumacher in quel fatidico anno in cui il leggendario pilota tedesco “sposò” la causa della Ferrari e iniziò il cammino per riportarla ai vertici della F1 dove mancava da diversi anni. Inutile dire quale fosse in quel momento il ruolo di Eddie: secondo pilota marcatamente alle spalle di Schumi proprio come Rubens nella decade successiva, con il mandato di non “rompere le scatole più di tanto” e di portare un po’ di fieno in cascina quando possibile. In più Eddie, a differenza del brasiliano, dovette anche vivere gli anni di “start-up” del progetto, dove la competitività della Scuderia era in crescita di anno in anno ma non ancora al top: Eddie lasciò Maranello proprio alla vigilia della stagione 2000, la prima della trionfale ed irripetibile “cinquina rossa”. Insomma, a Maranello Irvine arrivò in una situazione un po’ particolare: ma nonostante ciò si dimostrò pilota di notevole talento, un po’ istintivo ed incostante, ma giudizioso e rispettoso del suo ruolo, un ruolo che avrebbe “stritolato” presto uomini meno solidi – e forse meno incoscienti – di lui. Fu anche per queste sue doti che i quattro anni che trascorse in Ferrari furono, in fondo, assai positivi e si chiusero con la stagione 1999 in cui sfiorò addirittura il Titolo Mondiale. Ma procediamo dall’inizio: il suo ingresso in Formula 1 fu un po’ burrascoso. Nel 1993 Eddie era in Giappone a cercare fortuna e partecipava alle competizioni di Formula Nippon; Eddie Jordan, che aveva attraversato un anno travagliato, giunse alla vigilia del Gran Premio nella terra del Sol Levante cercando un pilota per la sua seconda macchina e i due irlandesi – sebbene divisi dalla frontiera del Regno Britannico – si accordarono per un contratto da due corse. Fu un esordio col botto: Eddie fu subito sesto a Suzuka, quella che rimarrà la sua pista prediletta anche negli anni successivi, ma si segnalò anche per la resistenza che fece nei confronti di Ayrton Senna che tentava di doppiarlo e che, per questo motivo, venne alle mani con lui a fine gara. Il punto conquistato e la “mediatica” scazzottata convinsero Jordan a rinnovargli il contratto per la stagione successiva ed Irvine lo ripagò con due buone stagioni caratterizzate da eccellenti prestazioni in prova vanificate spesso dalla fragilità della vettura e da eccessi di irruenza nella sua guida. Tanto bastò comunque per individuare in lui quel “pilota veloce ma non troppo” che Schumacher aveva chiesto come spalla alla Ferrari. Come detto, il suo anno d’oro fu il . Dopo tre stagioni di paziente attesa, Irvine vinse subito la corsa di apertura in Australia dopo 82 Gran Premi disputati e, complice l’incidente di Silverstone che mise fuori causa il suo capitano per diverse gare, tentò di contrastare Mika Hakkinen per la conquista del Titolo ottenendo altre tre vittorie e finendo secondo in classifica dietro al finlandese. Lasciato il Cavallino, spese gli ultimi tre anni di carriera nel mai decollato progetto Jaguar e annunciò il suo ritiro dalle competizioni il giorno del suo ultimo grande risultato, il terzo posto al GP d’Italia 2002 salutato calorosamente dei suoi ex tifosi italiani. Di lui, oltre che le gesta in pista, si ricordano anche il suo carattere allegro, la sua ironia, spesso anche nei confronti di sé stesso e la sua capacità di sdrammatizzare che in un mondo ipercompetitivo e dove tutti si guardano in cagnesco come il circus della Formula 1, era merce assolutamente rara. Qualche chicca.
Forse l’episodio che più ne tratteggia il carattere è quello accaduto a Monza, nel pre-gara del 1998. Un giornalista inglese stava intervistando Mika Hakkinen e Michael Schumacher chiedendo loro cosa si aspettavano dai rispettivi compagni di squadra per il futuro. Mentre Hakkinen rispose con una precisa disamina sull’apporto che avrebbe potuto dargli Coulthard per la conquista del titolo, il solitamente teutonico Schumacher rispose: “Spero che Eddie stia lontano da mia figlia quando lei sarà grande”. Buenos Aires 1995: Luca Cordero di Montezemolo incontra per la prima volta Irvine, in procinto di diventare un suo pilota. Il presidente gli chiede cosa ne pensa della Ferrari. Forse si aspettava una risposta diversa da quella che uscì dalla bocca del nostro: “Penso che i pezzi di ricambio della GTO siano molto cari, lei non può fare qualcosa in proposito?”. Barcellona, 1996: alla conferenza stampa del dopo gara il vincitore Michael Schumacher dichiara che non avrebbe mai immaginato di poter vincere prima della partenza. Eddie al suo fianco commenta: “Questo dimostra quanto ne capisci tu di Formula 1”. Resa l’idea? Eddie Irvine, a suo modo un pezzo di storia delle corse.